Il Premio Vegetti 2017 è stato assegnato a due importanti autori della fantascienza italiana: per la narrativa il vincitore è stato il connettivista Sandro Battisti, mentre per la saggistica è stato premiato un maestro quale Giovanni Mongini. La cerimonia di premiazione, rientrata nell’ambito del quarto Raduno Tolkieniano, si è svolta nella Città di San Marino sabato 26 agosto, presso l’elegante Teatro Titano alla presenza di scrittori, editori, giornalisti e appassionati del fantastico. Nell’occasione si è tenuto un dibattito sulla fantascienza. In apertura il presidente della World SF Italia, Donato Altomare ha ricordato l’incisiva attività divulgativa nella SF da parte di Ernesto Vegetti e l’impegno della World a proseguirne l’opera anche attraverso il consolidamento del Concorso a lui dedicato. Sono poi intervenuti i finalisti presenti ossia Sandro Battisti e Maurizio J. Bruno per la categoria romanzi e Cesare Cioni, Eleonora Federici, Riccardo Gramantieri e Giovanni Mongini per la categoria saggi. Ognuno ha illustrato il proprio lavoro dando vita ad una vivace e propositiva conversazione ricca di richiami non solo puramente letterari ma anche cinematografici, artistici, politico-sociali e tecnico-scientifici. In chiusura la signora Stefania Mainelli-Vegetti, segretaria della World SF Italia e moglie del compianto Ernesto, ha proclamato i vincitori, appunto Battisti e Mongini, consegnando loro le targhe ricordo e cogliendo l’occasione per ringraziare i finalisti, tutti i concorrenti e le giurie.
Il nostro socio Filippo Radogna, moderatore della serata, ha intervistato i vincitori. I profili dei due noti autori sono rafforzati dalle loro riflessioni che spaziano nella biografia, nei modelli seguiti e nel loro lavoro letterario, ma anche nei gusti, nelle amicizie, nelle passioni culturali (anche storiche e politiche) e nel modo che essi hanno di intendere la scrittura.
Abbiamo seguito l’ordine alfabetico per cui la prima intervista è con Sandro Battisti, con “L’impero restaurato” (Urania Mondadori), segue quella con Giovanni Mongini, vincitore con “L’Universo in celluloide – Il cinema di fantascienza tra stelle e pianeti” (Edizioni della Vigna). Buona lettura!
Intervista con Sandro Battisti
Sandro, dopo il Premio Urania nel 2014, “L’impero restaurato” ha ricevuto il Premio per la critica Ernesto Vegetti. Quando l’hai scritto avresti pensato a un successo così grande per il tuo romanzo?
Sinceramente, no. Il romanzo era nato praticamente su commissione, mi era stato chiesto se potevo scrivere dei Bizantini, vista la mia familiarità con Roma antica, e io dopo anni che non creavo più romanzi mi sono gettato sul progetto, folgorato dalla suggestione per Giustiniano I. L’Urania è stato quasi un piano B, poiché nel frattempo la pubblicazione per la casa editrice originaria era svanita causa la dissoluzione dell’editrice stessa; quindi vincerlo è stato bellissimo, ma più che altro perché mi sono sentito parte della grande casa Urania, è stato un cambio di passo, di mentalità, di orizzonti. Il Vegetti, ora, completa il quadro, lo amplia, lo certifica semmai ce ne fosse stato bisogno. Sono molto soddisfatto della visibilità che tutto ciò ha donato all’Impero Connettivo, un sogno condiviso da chiunque voglia scriverne usandone il semplice canone, o da chiunque voglia leggerne.
Il libro s’inserisce nella saga dell’Impero Connettivo sul quale hai scritto vari romanzi. A che punto sei dell’opera?
Dopo “L’impero restaurato” ho avuto bisogno di radunare un po’ le idee e l’anno scorso, complici notevoli cambiamenti personali e in preda a un’irrefrenabile necessità di scrivere, ho realizzato il seguito dell’Urania – questa volta con il focus incentrato su Annibale – insieme a un secondo ulteriore romanzo che non è imperiale, ma che in qualche modo è il complemento del primo; l’argomento di quest’ultima opera è sciamanico e ha una precisa collocazione temporale, diversamente dall’Impero che è forsennatamente nel futuro, così lontano da disintegrare il concetto stesso di tempo.
L’anno scorso, il 2016, è stato fruttifero anche per i racconti, ne ho scritti di imperiali e non; ho approntato anche una suite di proposte relative alla suggestione del sesso quantico, argomento trattato già dall’antologia multiautoriale intitolata “Hai trovato orgasmi nel collettore quantico?”, uscita per Kipple Officina Libraria, e così c’è stato anche tempo e modo per comporre una silloge di versi di ascendenza sciamanica.
Sei un appassionato di storia antica e della tua città, Roma: quanto quest’ultima è fonte d’ispirazione?
Per scrivere “L’impero restaurato” ho riletto il volume di Georg Ostrogorsky, “Storia dell’impero bizantino”; per il suo seguito mi sono concentrato su Annibale, leggendo tre o quattro titoli di Storia che riguardano il personaggio, e attualmente sto divorando il Mommsen, con i suoi dettagli sulle province imperiali. Ciò significa che in Italia abbiamo una possibilità che nessun altro autore mondiale può avere: partire dal passato più antico per estrapolare il futuro. In nessun’altra nazione è possibile fare questo e perciò sta a noi sfruttare al meglio questa possibilità culturale, ovvero fare della Storia una fonte inesauribile di creatività per il genere fantascientifico; possiamo potenzialmente farlo molto bene qui in Italia, bisogna solo crederci e studiare, i notevoli traguardi raggiunti da Silverberg e Turtledove possono essere ampliati da una nostra innata percezione di ciò che è stato e che è ancora visibile, poiché in Italia viviamo immersi nelle antiche vestigia.
Lo scrittore Paolo Cognetti è il vincitore del Premio Strega di quest’anno con “Le otto montagne” (Einaudi). Nel romanzo egli parla di un mondo cui tiene e in cui ama vivere, un mondo abbandonato: la montagna. Quanto, invece, ne “L’Impero restaurato” c’è della tua Roma, città che ami e nella quale vivi?
La Roma antica è presente nei miei scritti in forma di ombre ectoplasmiche, proprio perché la genesi dell’Impero Connettivo prende le mosse dalla Storia romana; Roma, ancora oggi, pullula di suggestioni antiche, se chiudi gli occhi vedi cosa successe lì all’epoca, in certe zone riesci perfino a vedere i contorni dell’antico abitato, anche tenendo gli occhi spalancati. Amo Roma, c’è poco altro da aggiungere, conoscendone la Storia posso anche capirne il presente e le dinamiche umane connesse.
Cos’è e com’è la Roma di oggi?
Il presente è un coacervo bestiale d’ignoranza delle proprie origini, anche di quelle più prossime; è un luogo che si è espanso secondo le più becere necessità, dove ogni evento è sacrificato alle esigenze di poche categorie dominanti. Spesso si vive male, compressi in quartieri asfissianti nati dalle borgate del Dopoguerra, oppure in nuovi agglomerati dove non si è badato ad altro che a costruire alla meglio, usando a volte materiali che nel giro di pochi lustri avranno bisogno di pesanti ritocchi: guardate le meraviglie imperiali, invece: sono lì da duemila anni e il cemento usato è ancora coeso, addirittura se è posto a contatto con l’acqua marina si rafforza… Ma questo avviene perché viviamo in un regime economico che definisco iperliberista, bisogna consumare e per consumare non c’è la necessità della qualità, ma della quantità. La rovina contemporanea, umana e strutturale, deriva da questo semplice fatto.
E come la vorresti?
Mi piacerebbe molto che avesse memoria della sua grandezza passata, mi piacerebbe che chi passeggia sul Lungotevere, verso l’isola Tiberina, vedesse che quello era l’antico passaggio commerciale con gli Etruschi, che occupavano Trastevere; mi piacerebbe che chi osserva il Circo Massimo intravedesse anche la Vallis Murcia, e Romolo e Remo, e il Lupercale, e le ombre del Palatino che tuttora sono impenetrabili, lì dove Augusto aveva percezioni del dio Apollo e dove volle essere il nuovo Romolo, per ampliarne la già notevole visione moderna così da renderla globalizzata. Vorrei che conoscendo la Storia, i romani capissero gli inganni del Cristianesimo e tutte le porcherie di cui esso si è reso colpevole in quasi due millenni di dominio culturale e politico, vorrei che il futuro cui tutti abbiamo diritto e bisogno fosse uno splendente scudo di rame che neutralizzasse gli errori del passato…
Dove e come nasce la tua scrittura?
Onestamente, non lo so. Sgorga come una sorgente e allora ho l’istinto di scrivere, sento la voglia e la necessità al contempo di rivelare le visioni che bussano alla mia attenzione: in quel processo non c’è nulla di strutturato, devo semplicemente seguire l’impulso e vivere il privilegio di sorprendermi di ciò che racconto; quindi, non potrei mai strutturare a tavolino un progetto, ne perderei la fascinazione e quindi l’interesse, ho bisogno di stupirmi e sono convinto che nessuna scuola di scrittura potrà mai donarmi l’estasi che provo ogni volta che mi getto nella stesura di qualcosa.
Quante ore scrivi al giorno? Com’è organizzata la tua giornata da scrittore?
Non ho organizzazione, non scrivo regolarmente. Se sono in periodo romanzesco, ho bisogno di arrivare in fretta alla fine perché altrimenti, se perdo la concentrazione, dimentico tutto e devo buttare ciò che ho scritto fino a quel momento; per cui, due mesi e finisco, scrivendo almeno cinquemila battute al giorno, da buttare giù appena possibile con costanza, senza fermarmi. In tutto ciò, il lavoro che svolgo sul blog hyperhouse.wordpress.com è propedeutico alla scrittura e mi costringo a scriverci ogni giorno: è un po’ come andare in palestra, serve a non perdere la consuetudine a esprimermi, è fondamentale tutto ciò.
Cosa ti dà la scrittura?
Visioni. Spesso inesprimibili nella loro totalità; penso sempre che un trasduttore craniale d’immagini cerebrali risolverebbe una gran quantità di problemi dati dall’esternalizzare le suggestioni, senza la necessità di doverle conciliare con le parole, che sono un mezzo di eloquenza alquanto carente dal punto di vista mediatico: una parola è sempre un metodo precario di traduzione interiore, per questo il Cinema è notevolmente superiore alla Letteratura, almeno dal punto di vista espressivo.
Quali sono gli ultimi libri di fantascienza che hai letto e quali quelli di mainstream? Quali di questi ti hanno maggiormente appassionato e perché?
Sono molto settoriale, non riesco a leggere il mainstream se non in determinate e rare situazioni, trovo che la sistematica indagine dell’umano sia noiosa, ripetitiva,inutile: nello spazio siderale, la presenza dell’umanità o meno non sarebbe nemmeno notata, siamo superflui, facciamocene una ragione, e siamo dannosi al pianeta Terra (non proliferiamo su altri pozzi gravitazionali, please). Perciò amo la fantascienza. Ultimamente ho letto Alastair Reynolds, “Chasm city”, e io amo quello scrittore e i suoi racconti così siderali, è Space opera di qualità sublime, ben scritta, ben esposta, che mette al suo giusto posto la postumanità che si perde nel respiro cosmico.
Hai dedicato il Premio Vegetti ai tuoi amici e colleghi connettivisti. Quanto sono stati importanti nel tuo percorso?
Sono stati e sono tuttora importanti, non immagino un futuro senza i miei compagni di visioni e di condivisione degli ideali. Amo ripetere questo pensiero: i connettivisti sono, prima di tutto, un gruppo di amici molto uniti che condividono interessi, speculazioni, punti di vista; il nostro concetto d’interesse e di speculazione è puramente culturale, non monetario, siamo decisamente oltre ogni bassa considerazione data dalle merci. Siamo legione, siamo tutto.
Filippo Radogna
Intervista con Vanni Mongini
Vanni, quest’anno hai vinto, nella categoria saggi, il Premio Vegetti con il lavoro “L’Universo in celluloide – Il cinema di fantascienza tra stelle e pianeti” (Edizioni della Vigna). Si tratta di volume di ampio respiro di quasi seicento pagine nel quale hai messo a frutto la tua lunga esperienza e conoscenza nel settore. Quanto è importante questa opera nel tuo lungo percorso di scrittore e saggista?
Io amo questo saggio. Racchiude la mia storia. Sono nato con l’astronomia per poi andare con la fantasia dove non potevo andare con la realtà e quindi ho poi seguito i primi tentativi di esplorare la nuova frontiera e la stupidità umana che non solo non cerca nuovi sfoghi per cercare necessari nuovi mondi, ma distrugge il suo in perfetta imbecillità.
Nel testo unisci la fantasia dello scrittore, la competenza del cinefilo di Science fiction e quella del divulgatore scientifico riuscendo a legare la scienza con la fantascienza era questo il tuo principale intento?
Era ‘esattissimamente’ -anche se non si dice- quello che volevo fare da anni.
Il premio è dedicato a Ernesto Vegetti (1943-2010) che, come è stato detto nel corso della premiazione, fu uomo di pensiero e di azione: saggista e bibliografo, organizzatore di importanti convention di fantascienza, presidente per molti anni della World Science fiction Italia, già Premio Europa special nel 1980. Lo hai conosciuto? Che rapporti avevi? Com’era come persona?
Era una persona sincera, cordiale e di alta obbiettività: se quello che avevi scritto non gli piaceva te lo diceva tranquillamente senza alcuna cattiveria. Era gentile, disponibile, mi era molto caro proprio per questa sua lealtà verso tutto e tutti…
Dovevamo scrivere un racconto a tre: Lui, Adalberto Cersosimo ed io e, pensa, l’ho sentito pochi giorni prima che partisse per quel suo lungo viaggio ad esplorare nuovi, strani mondi.
Vegetti è stato artefice (con Pino Cottogni ed Ermes Bertoni) dell’insuperato ‘Catalogo Vegetti’ che rappresenta la massima fonte italiana nell’ambito del fantastico: uno strumento essenziale per studiosi e scrittori ma anche per appassionati. Immagino che ti sarà stato utile come strumento per le tue ricerche…
Chi non ha mai consultato quel catalogo? Ho dato a ‘Ernestone’, lo chiamavo così, anche dei libri che lui non aveva per fotografare le copertine e i dati che gli servivano. Una volta gli dissi: “Noi ci siamo divisi la fantascienza: a me il cinema e a te la letteratura, ma che faticaccia la tua rispetto alla mia!”.
Con tua figlia Claudia, anche lei scrittrice e saggista di fantascienza, hai realizzato una fornitissima cineteca relativa alla fantascienza. Dove si trova? Ce ne vuoi parlare?
Avevamo circa seicento film in pellicola, ma era troppo dispendioso conservarli e i comuni se ne sono sempre fregati altamente. Mia figlia è andata in Svizzera e io sono rimasto solo ed era una faticaccia. Li abbiamo venduti quasi tutti. In compenso abbiamo una videoteca di circa seimila DVD solo di fantascienza più altri generi.
Molto del materiale fantascientifico che hai collezionato in lunghi anni è stato donato al Musef il Museo della scienza e della fantascienza di Gaiba(Rovigo). Cosa contiene? Quali sono i pezzi più importanti? Il museo è aperto a chi vuole visitarlo?
Alt, non è stato donato affatto. È sempre di proprietà mia e di mia figlia. Gli orari, per il momento sono al pomeriggio di ogni giorno, manca il personale, purtroppo. I pezzi più importanti? La piastrella dello Shuttle, la tuta usata da Sean Connery in Atmosfera Zero, disegni originali di Carlo Rambaldi, libri di astronomia d’epoca, la storia del cinema di fantascienza attraverso i modellini… eccetera… eccetera. Per la location ed altro vi conviene dare un’ occhiata a Musef su facebook.
Un’ultima domanda riguarda anche la tua attività da romanziere. Dopo la bella trilogia cosmica che comprende “Il popolo che perse le stelle”, “La Galassia dei Soli nascenti” e “Gli Universi dei guardiani del tempo” hai in programma di scrivere altro sotto l’aspetto della narrativa? A cosa stai lavorando attualmente?
Sono usciti altri romanzi: “Prima del domani” (Ed. Della Vigna), “L’occhio argenteo del cielo” (Ed. Scudo), “La frontiera per l’eternità” (Ed. scudo), “L’odissea dei mondi” (Ed. Scudo) e un’antologia di racconti: “I miei Mondi” (Ed. Scudo). Poi ho scritto, in attesa di pubblicazione, altri due romanzi: “L’uomo che odiava le nuvole” e “Questa isola Terra”; quindi due saggi per le Edizioni Scudo sull’uomo e il cielo che lo circonda intitolati “Terzo dal Sole” e “Le costellazioni”. Sto scrivendo un altro romanzo, ma vado piano per ‘colpa’ della saggistica di prossima uscita dalle Edizioni Della Vigna. Mentre prosegue “Science Fiction All movies”, esce in due volumi la fantascienza sul Web, scritto assieme a mia moglie Emanuela Menci e “Dietro le quinte del cinema di fantascienza”, due volumi scritti con Mario Luca Moretti; gli aggiornamenti dei libri su Star Wars e Star Trek con Nicola Vianello e, in ultimo, almeno per ora, cinque volumi intitolati “Chi li ha visti? I B-Movie dimenticati”, come non dimentico il mio piccolo ma grasso ‘Bimbo’ “L’universo in celluloide tra stelle e pianeti” il saggio più venduto. E se mi chiedi il perché di tutta questa produzione ti rispondo con un detto di Woody Allen: ‘Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo. Prima o poi avrai ragione’.
Lunga vita e prosperità.
Filippo Radogna