Il suo lavoro di designer grafico e di consulente e programmatrice di computer la fa continuamente viaggiare in Italia e all’estero. Claudia Mongini a questo si è preparata sin da giovanissima, da universitaria negli Stati Uniti con stage al Massachusetts Institute of Technology e poi con l’esperienza alla Johns Hopkins University. Claudia ha sempre avuto modo di vivere e avere continui scambi internazionali che l’hanno formata e fatta crescere sotto l’aspetto professionale. Ma aggiungiamo che le sue abilità e capacità creative passano da questi settori anche all’ambito del fantastico. Di tali argomenti ne abbiamo parlato con lei a tutto campo nella conversazione che segue.
Claudia, sei figlia d’arte… Vanni Mongini è un nome storico della fantascienza italiana, e sei sempre vissuta in un ambiente per così dire ‘fantastico’. Ti sei mai chiesta cosa avresti fatto se non fosse stato così?
Avrei sicuramente fatto la cantante country! Scherzi a parte, per almeno una metà della mia vita non ho beneficiato di alcuna influenza fantastico-fantascientifica, ero molto dedita ai computer e a tutto il mondo nerd in generale.
Ma cosa significa per te fare parte di questo mondo?
Difficile da spiegare. Da un lato ci sono tante persone interessanti che hanno fatto la storia della fantascienza, icone del fantastico e monumenti della cinematografia. Dall’altra l’essere al centro di attenzione per questa o per quella cosa. Una delle cose più strane che mi capita è il firmare autografi… che mondo strano! Per il resto è tutta cultura che permea!
Ti occupi di saggistica, critica cinematografica, design grafico, informatica – settore, quest’ultimo, che risale ai tuoi studi superiori – narrativa fantascientifica e fantastica, ma hai anche altre competenze. Quale tra tutti questi prediligi?
Sono un designer grafico e prima di tutto un programmatore di computer. Questo per me è il cardine sul quale ruota tutto il resto: realizzare una copertina in 3D è divertente, ma anche scrivere di una macchina che prende coscienza o leggere di un’astronave sperduta ha la stessa valenza. Sono riuscita a unire varie competenze, varie passioni e vari interessi sotto lo stesso tetto. Meglio di così!
Sei stata curatrice, con tuo padre, di molti volumi relativi alla storia del cinema di fantascienza dagli Anni Cinquanta del secolo scorso sino ai primi Anni del Duemila. Oggi come ti sembra la cinematografia nel settore?
Riciclata. Ci sono poche idee veramente interessanti e originali, ma mi piace guardare di tutto. Le fucine americane sono molto attive e producono davvero moltissimo materiale, senza contare tutto quello che viene realizzato per il web! Come diciamo sempre con mio padre e mia madre, senza Harryhausen e i suoi dinosauri ‘a passo uno’ non ci sarebbero le CG. Però io sono una rompiscatole, per ogni scena riesco a trovare almeno un paio di film in cui ve n’è una simile…
E di quella italiana? Per esempio cosa pensi del film molto originale e tutto italiano “Lo chiamavano Jeeg Robot”, con la regia di Gabriele Mainetti, vincitore del David di Donatello nel 2015?
L’Italia ha il potenziale, ha (un po’ meno) mezzi e buoni attori. Mancano forse le idee “out of the box”, manca il tocco di follia che si distacchi dal classicismo italico. Credo che il fatto di voler sfruttare il marchio “Made in Italy” ci leghi un po’ troppo a dei canoni fissi mentre non sarebbe male togliersi quest’abito ed esplorare altre vie. “Lo chiamavano Jeeg Robot” in questo senso è già un punto di rottura: Santamaria è straordinario nel personaggio e il film avrebbe dovuto avere molto più successo a parer mio.
Hai conosciuto i grandi del cinema italiano di genere come Dario Argento, Luigi Cozzi, Carlo Rambaldi. Cosa ricordi? Hai lavorato con loro? Cosa hai imparato?
Ho avuto la fortuna di conoscere tante persone che hanno contribuito a creare la storia della cultura cinematografica italiana e sono stata affascinata dalle loro idee e visioni. Non ho mai lavorato a contatto con personaggi come Rambaldi, anche se mio padre è stato un suo grande amico. Luigi l’ho incontrato per la prima volta sul set de “La sindrome di Stendhal” mentre Dario forse un po’ dopo. Una cosa però ho imparato da loro, come da mio padre, come da mia madre e da mio nonno: l’umiltà vince su tutto. Queste persone sono state con me come amici, zii a volte e mai una volta ho avuto l’impressione di essere discriminata per non essere al loro livello.
Come tanti giovani hai studiato all’estero, tra l’altro ti sei laureata in comunicazione visiva alla prestigiosa UCLA, l’Università della California di Los Angeles. Poi sei rientrata in Italia e questo ti fa onore. Se tornassi indietro rifaresti le stesse scelte? Quali sono le nuove professioni in cui c’è spazio nel settore? Se dovessi dare un consiglio a un giovane che vuole impegnarsi in questo settore cosa gli diresti?
Io rifarei le stesse scelte mille volte, con qualche variazione sul tema forse, ma le rifarei. Ho avuto la fortuna di poter studiare, imparare, conoscere, esplorare – il tutto senza l’ausilio di un cellulare – e fare tante esperienze in un’epoca in cui sbocciavano le nuove tecnologie. In Italia, e siamo sempre lì, ci sono le potenzialità ma mancano i fondi, le competenze, le strutture… ed è naturale che in tanti vogliano andare in Paesi dove è possibile realizzare sogni che qui sarebbero a fondo perduto. Sarebbe bello poter dire “impegnati e vedrai che tutto si realizzerà”, ma non credo che in Italia possa avvenire questo cambiamento senza che un movimento culturale entri di prepotenza in questi ambienti. Questo vale per la computer grafica come per la sceneggiatura! Ho un’amica a Malta, una bravissima pittrice, che, assieme al marito, si impegna sul fronte della sceneggiatura e ci mette una gran passione! Più che dare consigli a qualcuno io regalerei una matita: cominciate a scrivere, fate una rivoluzione e costruite un movimento. Hack da planet, giusto per citare un motto famoso!
E con Claudia, per ora, ci fermiamo qui. Ma non si ferma affatto la sua fervente attività. Tra le varie cose che ci rivela apprendiamo che sta lavorando alle copertine dei libri per il papà e la mamma. “Nel frattempo – conclude – continuo a curare i lati visual e social del primo team italiano competitivo di esport. Che sotto molti punti di vista è come uno storyboard”. Insomma, la creatività di Claudia non smette mai di tirare fuori nuove idee e realizzazioni e, visto il cognome che porta, non poteva che essere così!
Filippo Radogna