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Valeria Barbera tra sogni e riflessioni

Vale1rE’ positiva, curiosa, riflessiva, dotata di una personalità vivace anche se riservata, affascinata dalla musica classica, dal cinema e dallo sport. Valeria Barbera è una lettrice instancabile con un nutrito bagaglio di studi tecnico-scientifici alle spalle. Ha cominciato a scrivere da bambina e ad oggi ha dato alle stampe il romanzo cyber fantasy “Eroe in prova” (Delos Digital, 2015) ed è presente in varie antologie del fantastico quali “Tutti i mondi di Mondo9” (Delos Books), Alia Evo 2.0 e 3.0 (Buckfast Edizioni) e “Hai trovato orgasmi nel collettore quantico?” (Kipple Officina Libraria). Ma ha anche visto pubblicato alcuni suoi lavori in riviste del fantastico come Robot e Writers Magazine Italia e Urania Collezione n.176 (Mondadori, settembre 2017). E’ stata finalista al Premio Robot per la fantascienza e al premio Francis Marion Crawford per l’horror oltreché giurata in vari premi e concorsi, come il John W. Polidori e il Creep Advisor. Quest’anno è entrata a far parte della giuria del prestigioso Premio Ernesto Vegetti per la critica, nella categoria romanzi di fantascienza.
Con Valeria abbiamo conversato sul suo modo di vedere e affrontare la vita, sulla società e i mutamenti ad essa correlati ma anche di scienza, tecnologia e letteratura contemporanea.

Valeria, anzitutto come ti definiresti?
Prima di tutto vorrei ringraziare te, Filippo, e la World SF Italia per questa intervista.
Come mi definirei…mia madre diceva sempre che, quando sono nata, invece di piangere, come normalmente fanno i neonati, ridevo; quando poi mi hanno adagiata nel lettone accanto a lei, mi sono messa una manina sotto il mento e mi guardavo intorno incuriosita

Quindi positiva e curiosa sin dalla tenera età.
In effetti, sono un tipo curioso e osservatore, preferisco ridere anziché piangere. Inoltre, amo follemente l’universo, che non è soltanto il cielo stellato ma tutto: piante, animali, esseri umani, la vita.
Questa disposizione d’animo, unita al fatto che sono molto riservata, mi procura spesso fraintendimenti: in troppi associano la mancanza di lamenti a una vita “facile” e pertanto mi giudicano una bimba finita in paradiso per sbaglio, una fortunella immeritevole.

Come ti sei “destreggiata” nel grande mare della vita?
In realtà la mia vita è stata un susseguirsi di disgrazie, rinunce, e problemi fisici con cui convivo da eoni, di emarginazione e di incomprensione che sconto in quanto “diversa” (appartengo alle minoranze) e quindi, agli occhi di molti, “strana”, un nemico da abbattere per principio; i miei sogni, i miei sentimenti, le mie stesse qualità di essere umano sono state derise, calpestate, stropicciate, ho subito e continuo a subire attacchi alla mia autostima, in primis da alcune persone di famiglia e poi dal mondo esterno. Ho trascorso l’adolescenza e i periodi bui in disparte, a versare fiumi di lacrime chiedendomi “Perché non la faccio finita, così sono tutti contenti?”. La mia risposta è sempre stata: “Che si freghino. Ho il diritto di esistere e di essere felice anch’io, alla faccia di chi mi vuole male”.
Insomma, avrei motivo di lamentarmi per almeno dieci vite, ma sono nata prima dell’alba, quando la notte è più buia ed ho iniziato la mia vita guardando il sole sorgere…

Un sole che illumina il tuo percorso…
La vita non è facile per nessuno e la mia non è da meno, però mantenere un atteggiamento fiducioso e costruttivo, credere in me stessa anche e soprattutto quando gli altri mi voltano le spalle, dire le cose con humour, per quanto possibile, è il mio modo di viverla.

Parte della tua vita è anche dedicata alla scrittura. Cosa racconti?
Racconto vite e denuncio i malanni della società, a volte col Vale2rsorriso, altre con fermezza. I personaggi delle mie storie attraversano guai e indicibili sofferenze, si smarriscono come Ulisse nel mare, incappano in pericoli e non c’è mai nessuno che abbia tempo per salvarli o voglia di farlo. Tuttavia cercano e trovano soluzioni con le proprie forze, uscendo dalle tribolazioni più maturi e con qualche piuma arruffata, ma sempre con la capacità di sperare, di amare, di ridere e di meravigliarsi. A volte protestano, mi fanno certe geremiadi che non ti dico, ma gli spiego che, come l’eroe della Bhagavad Gita, per raggiungere il Nirvana è necessario liberarsi delle zavorre esistenziali e questo avviene solo superando le prove del destino. Per cui, come una mamma, guardo i miei bimbi camminare, cadere e rialzarsi, soffrendo ed esultando con loro.

Possiamo definire lo scrittore un sognatore?
I sogni sono desideri di felicità, come cantava la Cenerentola disneyana. Chi sogna spera in un mondo migliore, in una sorte favorevole. In questo senso uno scrittore è senz’altro un sognatore: spera di essere letto; spera di aver scritto qualcosa di bello, di emozionante, di utile; spera che la sua storia si ritagli un posticino fra i ricordi dei lettori, che i suoi personaggi diventino loro amici; spera che la storia prosegua anche dopo la fine del libro. Oppure spera di arricchirsi, di diventare famoso.
Non ho ancora incontrato uno scrittore o aspirante tale che non nutrisse delle speranze, piccole o grandi, verso le sue storie.

Quanto è importante sognare nella vita?
Per me è fondamentale, i sogni ci spronano a compiere imprese e aiutano a capire noi stessi. Tuttavia è importante anche sognare le cose giuste, fattibili. Altrimenti sono innocenti fantasie che possono diventare storie, oppure pericolose illusioni che rischiano di rendere la vita amara.

A tuo parere i creativi, gli scrittori, gli artisti, i poeti, quali caratteristiche devono avere?
A mio modesto parere, devono avere qualcosa da esprimere, poi il coraggio di farlo, la disponibilità a trascorrere periodi di isolamento creativo e la capacità di divertirsi.
Chi intende farne un lavoro, deve avere anche l’umiltà di riconoscere che, per quanti titoli abbia conseguito, la teoria accademica è una cosa, la pratica un’altra e i lettori, il mercato un’altra ancora. Come Harry Potter, che, pur dotato di poteri, frequenta la scuola di magia, chi si sente ardere dalla necessità di esprimersi, dovrebbe cercare un mentore che lo aiuti a scoprire se e quale tipo di talento possiede, come potrebbe usarlo – potrebbe non dovrebbe -, soprattutto che gli spieghi come funziona l’ambiente in cui si sta addentrando. Poi deve avere la tenacia di perseverare, la pazienza di aspettare, poiché i risultati arrivano col tempo, e spalle larghe per incassare le critiche, giuste o ingiuste che siano, perché l’arte ha una forte componente soggettiva, ringraziando il cielo.
Per lo stesso motivo serve autostima, quella vera, quella che non si basa sul numero di lettori o delle copie vendute, che non bada ai premi vinti o sfiorati. Paradossalmente, la creatività è la dote più semplice da alimentare.

Quale metodo suggerisci per nutrire la creatività?
Il mio consiglio, imparato quando lavoravo come copywriter pubblicitario, è di leggere tutto, non soltanto libri ma qualunque foglio scritto, inclusi i bugiardini delle medicine e gli ingredienti sui prodotti.

Lo scrittore è figlio del suo tempo, ritieni ne sia anche testimone?
Joseph Conrad si poneva il problema di spiegare a sua moglie che guardare dalla finestra, per uno scrittore, è lavorare.
L’ispirazione di uno scrittore nasce sempre dall’osservazione di quello scorcio di mondo che vede dalla propria finestra metaforica. La vita di ogni essere umano è condizionata dalla situazione sociale, politica, culturale ed economica, dalle conoscenze scientifiche acquisite dalla società, dalle teorie circolanti nella sua epoca. Per questi motivi lo scrittore è senz’altro figlio del suo tempo, ma non è detto che voglia esserne anche testimone, non è obbligato a rivestire questo ruolo.
Esistono autori per i quali la letteratura è uno strumento comunicativo di grande responsabilità e molti altri che si accontentano di raccontare una storia, di trasmettere emozioni.

Quanto egli può influire nei cambiamenti sociali?
Vale3rSulla possibilità che uno scrittore possa influire sulla società attuale, sono abbastanza scettica. Una storia può offrire chiavi di interpretazione della realtà a singoli lettori, ma i cambiamenti sociali nascono dalle correnti di pensiero che emergono e si integrano nella mente collettiva e, da quanto ricordo, queste sono sempre discese dalla filosofia, dalle teorie economiche e scientifiche, dai proclami politici. Uno scrittore, oggi, può sensibilizzare l’opinione pubblica mettendo il dito sulla piaga, come ha fatto Roberto Saviano con “Gomorra”, può scatenare polemiche come nel caso de “Il codice da Vinci” di Dan Brown, ma il suo apporto si ferma lì, nella riflessione offerta al singolo lettore. Difatti, la Camorra è ancora un grave problema e la Chiesa non è affatto crollata come temeva qualcuno.

Da persona attenta che osserva la collettività e ovviamente da scrittrice, cosa pensi della società attuale pervasa da tensioni e da intolleranze crescenti?
Tensioni e intolleranze sono sempre esistite fin dall’era preistorica. Tra gli scopi primari della specie umana ci sono la sopravvivenza e la riproduzione, la prosecuzione del proprio DNA attraverso la competizione genetica. La paura del diverso, dello straniero, dell’ignoto, favoriva la sopravvivenza, così si è trasferita alle generazioni successive, arrivando fino a noi.
Siamo frutto di una selezione naturale basata sul terrore dell’estinzione.
Nei millenni la popolazione mondiale è cresciuta, sono nate tecnologie sempre più efficienti che hanno avvicinato le persone favorendo i contatti.
Ricordo quando da adolescente corrispondevo con amiche lontane. Un botta e risposta richiedeva spese per l’acquisto della carta da lettera, dei francobolli, tempo per riflettere prima di scrivere una frase, cura per renderla con una grafia leggibile e giorni di attesa. Le vantaggiose tariffe telefoniche di oggi erano un sogno, come lo era immaginare di stare connessi alla linea telefonica per ventiquattr’ore. Per parlare a più persone nello stesso momento bisognava radunarle fisicamente nello stesso posto, il famoso bar cui accennava Umberto Eco.

Qual è la tua idea attorno all’utilizzo della rete internet?
Oggi siamo sette miliardi di persone e abbiamo mezzi di comunicazione che annullano tempi, distanze e sprechi di materiale, poiché immagini e testi sono pacchetti di bit. Possiamo chiacchierare in videoconferenza con gruppi di sconosciuti all’altro capo del mondo, seguire le loro giornate sui social, sapere tutto della loro vita, possiamo diffondere bufale con un click, assistere alle guerre in streaming in tempo reale.
Tra la sovrappopolazione, la connessione perenne, la quantità enorme di informazioni e idee che circolano, io vedo miliardi di persone stipate in una camera chiusa, che parlano di continuo, che si urtano, che si accalcano le une sulle altre, che consumano ossigeno. Nella stanza c’è questo megafono che ripete loro che sono tutte uguali, che devono abbracciarsi. A mio avviso è quel “devono” che stona. Le imposizioni non hanno mai portato nulla di buono, incluse quelle fatte a fin di bene. Il politically correct estremo, reiterato, battente, nel breve periodo può avere soltanto due conseguenze: la ribellione, con azioni violente, o la falsa tolleranza, leggasi “ipocrisia”, impossibile da sostenere a lungo senza ricadere nelle vecchie abitudini.

In tutto ciò l’uomo riesce a stare al passo con la tecnologia?
Dobbiamo capire che al progresso scientifico e tecnologico non è seguita un’evoluzione psicologica e mentale, la quale ha bisogno di un tempo molto più lungo per realizzarsi. L’uomo non evolve alla velocità dei razzi spaziali. Vorrei essere più ottimista, ma dubito che le cose miglioreranno nei prossimi cinquant’anni.
La paura dell’altro ha aiutato la specie umana a sopravvivere fino al ventunesimo secolo. Ora la specie umana deve trovare il modo per sopravvivere alla paura dell’altro.

E’ di questi giorni una nuova importante realizzazione scientifica negli Stati Uniti: è stato creato un embrione ibrido con cellule di uomo e pecora che apre importanti prospettive nel campo della medicina. Che pensiero hai in merito?
Tra un essere umano e le altre specie animali intercorrono poche Vale4rdifferenze sul piano genetico, differenze che scendendo nel regno della fisica quantistica spariscono, poiché siamo tutti costituiti da quark e atomi. Come ho detto, la scienza progredisce a una velocità superiore alla capacità di comprensione e di accettazione degli esseri umani. Queste scoperte, poi, si trascinano dietro sempre dubbi e domande cui neppure gli scienziati stessi sanno dare risposte. Qualcuno teme che, continuando di questo passo, gli animali chimera ottenuti dalle ibridazioni con l’uomo acquisiranno capacità cognitive simili alle nostre. Considerando la nostra atavica paura del diverso, qualora dovesse realizzarsi questa possibilità, ci sarà da divertirsi.

A tuo parere quanto scienza e fantascienza sono complementari?
Molto, però specifico in quale senso.
Sognavamo di vedere anche al buio e abbiamo inventato la lampadina; sognavamo di correre come i ghepardi e abbiamo inventato l’automobile; sognavamo di volare e abbiamo inventato gli aeroplani; sognavamo di parlare con la gente all’altro capo del mondo e abbiamo inventato il telefono; sognavamo di eseguire calcoli alla velocità della luce e abbiamo inventato i computer; sognavamo di andare su altri pianeti e abbiamo inventato le astronavi. Jules Verne ci ha fatto vivere l’ebbrezza del viaggio verso la Luna un secolo prima che Neil Armstrong mettesse piede sul satellite; Star Trek ha anticipato varie invenzioni moderne, come il tablet, il cellulare, e ispirato quelle che – si spera – la scienza realizzerà in futuro, quali il teletrasporto, il motore a curvatura, entrambe allo studio.
Questa progressione ha illuso molti appassionati, e non, che la fantascienza debba prevedere il futuro, tant’è che quando si parla di “morte della fantascienza”, una delle spiegazioni a sostegno è che ormai vivremmo già nel futuro e non ci sarebbe rimasto più niente da immaginare.
A mio avviso hanno frainteso: la narrativa speculativa o di anticipazione è soltanto un sottogenere della fantascienza.
La verità è che abbiamo inventato la scienza perché sognavamo di capire il mondo e di compiere imprese. Poi abbiamo scoperto che la scienza non riusciva a stare al passo con l’immaginazione; allora abbiamo inventato la fantascienza, che a sua volta ha arricchito il nostro bagaglio di sogni con ventagli di possibilità.
La scienza esiste per soddisfare il nostro bisogno di esplorare il mondo in cui viviamo; la fantascienza soddisfa il nostro bisogno di esplorare altri mondi, altri tempi, altre forme di vita, altri universi, altre leggi fisiche, di farci affascinare dalle infinite diversità.
In questo senso sono assolutamente complementari.

Ma vanno di pari passo?
Per me, scienza e fantascienza sono due sorelline che camminano mano nella mano sulla spiaggia, contemplando orizzonti diversi, e ogni tanto si sussurrano all’orecchio, ridendo.

Tra le aspirazioni degli scrittori italiani di fantascienza vi è quella di comparire nella Collana Urania Mondadori. Recentemente hai avuto questo piacere, ce ne vuoi parlare?
Vale5rE’ stato frutto del caso. Può sembrare strano ma, al contrario di quasi tutti gli autori e le autrici di fantascienza che conosco, finire sulla rivista non era una mia priorità.
Sono cresciuta in provincia di Napoli, in un paese perlopiù convinto che Urania sia un pianeta. Per reperire i volumetti bisogna vagare fra le edicole a Napoli, dove però arrivano poche copie, in genere già prenotate dai clienti fissi. Non sono neppure quel tipo di lettore che cerca i libri sulle bancarelle, le quali comunque si trovano sempre a Napoli.
In pratica sono cresciuta lontana da Urania, ignara anche dell’esistenza del premio e dell’importanza che aveva presso il fandom. Con l’avvento del digitale, ho potuto rifarmi, acquistando Urania in ebook e recuperando i vecchi numeri cartacei su eBay. Tuttavia, benché amici e colleghi mi spronino da anni a partecipare al premio, non l’ho mai fatto. Mi rendo conto che vincere o conquistare la finale farebbe salire parecchio le mie quotazioni, i lettori di fantascienza si accorgerebbero che esisto e correrebbero a recuperare le mie pubblicazioni anche soltanto per curiosità, però la prima cosa che ho imparato studiando scrittura è che i romanzi vanno proposti agli editori e alle collane giuste.
Vedo autori che scrivono la prima storia che gli passa per la testa e la spediscono senza riflettere, dandosi poi spiegazioni fantasiose sui motivi che hanno impedito ai selezionatori e ai giudici di sceglierla.
Per quanto mi riguarda, avevo concluso che la mia fantascienza non fosse adatta per Urania e mi ero messa il cuore in pace. La primavera dello scorso anno è partita la selezione per racconti brevi da pubblicare sul quotidiano di Lodi, “il Cittadino”. Si trattava di un’iniziativa in collaborazione con Urania, per portare la fantascienza a chi magari non l’aveva mai letta. L’idea mi piaceva e ho immaginato una storia divertente e leggera, da gustare sulla spiaggia, ma che allo stesso tempo tirasse le orecchie, come le storie brevi della Golden Age americana, tipo “Razza di deficienti” di Isaac Asimov, il mio nume tutelare. È nato così “Diversamente vivi”, una dissacrante analisi della sbandierata apertura mentale degli scienziati, con un titolo che fa marameo al “politically correct” a tutti i costi di cui parlavo prima.
Ho superato la selezione; in seguito mi hanno detto che il racconto era adatto anche per Urania e chiesto se potevo espanderlo. Ho aggiunto una seconda parte, una dedica d’amore per la fantascienza, chiaramente morendo di paura, perché andare su Urania, per quanto con un racconto in appendice al romanzo di Cordwainer Smith, è come finire nella fossa dei leoni.

Beh, però è stata una bella esperienza, no?
Molto piacevole, la storia ha ricevuto riscontri positivi. Purtroppo, alla notizia della mia pubblicazione, alcuni autori e autrici che si professavano miei amici, sostenitori della fantascienza, delle donne e tante belle cose, si sono eclissati. Ormai ci ho fatto l’abitudine. In sei anni che frequento il mondo della narrativa, ogni qualvolta una mia storia è stata pubblicata, qualche collega l’ha presa male. Io però sono recidiva e continuo a scrivere e al momento sono alle prese con alcuni progetti di fantascienza, ma per adesso non posso dire di più. Grazie di nuovo per questa piacevole chiacchierata. Un saluto a tutti!

Noi sosteniamo la crescita degli autori della fantascienza italiana per cui ti auguriamo sempre più alte mete. Grazie Valeria e tienici sempre informati sulla tua brillante attività narrativa!

Filippo Radogna

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