Fu Ugo Malaguti, uno dei grandi della fantascienza italiana, che alcuni anni fa lo scoprì e da allora l’impegno di Francesco Brandoli nell’ambito della scrittura si è fatto sempre più intenso.
Nato a Castel San Pietro Terme, in provincia di Bologna nel 1981, dopo il liceo ha studiato Giurisprudenza. Nel frattempo Francesco si è dedicato alla stesura di storie fantastiche e ha sempre coltivato la passione del disegno. Oggi fa parte del movimento “Italian Sword & Sorcery”, ha pubblicato un romanzo, saggi e racconti ed esercita la professione forense. Ha realizzato un sito personale visibile cliccando su www.francescobrandoli.eu.
Come nasce la tua passione per il fantastico? Cosa rappresenta per te?
Fin da piccolo sono stato più attratto dalle storie contenenti l’elemento fantastico. Forse richiama inconsciamente aspetti della mia infanzia e passioni trasmesse dai miei genitori e soprattutto mio padre. Ma sicuramente rappresenta anche una fuga dalla realtà, verso mondi dove i valori sono più forti. Dove archetipi di giustizia, equità, destino e divinità sembrano avere maggiore rispetto ed efficacia.
Sei autore del romanzo fantasy “Il Dio del dolore” (Ed. Tabula fati), vincitore del Premio “Le figure della parola”, ce ne vuoi parlare?
E’ stato il mio primo e per ora unico romanzo pubblicato. Rappresenta un traguardo e al contempo un inizio. Prossimamente sarà ripubblicato in una nuova edizione, essendo terminato il contratto con Tabula fati. Si tratta di un heroic fantasy con contenuti epici: il protagonista è il dio della morte, Ashioka, guardiano del disegno del dio supremo. Egli sarà richiamato dalla preghiera di un bambino sull’arido pianeta Amhambara, che trae il suo nome dal dio della guerra, suo dittatore. Sul pianeta il sole non sorge né tramonta mai, lasciando tutto immerso in un crepuscolo perpetuo: i due popoli del pianeta, Zaffiri e Sassosi, si colpevolizzano a vicenda di questa sparizione del sole e, per tale ragione, hanno dato inizio a una guerra, che sta sterminando il primo dei due popoli. Ashioka dovrà capire perché il sole sia “addormentato”, come lo definiscono in tanti, e riportare l’ordine sul pianeta e nel disegno divino: per fare questo si alleerà agli Zaffiri e ad altre entità elementali e si scontrerà con mostri e altre divinità, in un miscuglio di lotte e magia, fino alla rivelazione finale su cui non anticipo nulla! Il Premio “Le figure della parola” è stato un grande merito di questo romanzo, che ha avuto buone recensioni e commenti positivi.
Scrivi anche riferendoti ad autori di mainstream, infatti hai pubblicato un racconto dedicato allo stile del poeta e scrittore ‘iconoclasta’ Charles Bukowski. Come mai proprio lui?
Un po’ per caso, essendomi capitata l’occasione di inviare un racconto proprio per il numero della rivista a lui dedicato. Però, al contempo, il personaggio molto crudo, eccessivo e da strada (e da bar) che l’autore ha creato attorno a sé si sposa bene con quel mondo reale che per primo conosco e vivo, fuori dal lavoro e dai miei mondi immaginari, quando mi rilasso, in una città universitaria come Bologna che, ben descritta anche dal fumettista Pazienza, pullula di vita notturna conturbante e variopinta. Di personaggi Bukowskiani se ne incrociano davvero tanti!
La tua attività si dipana in altri campi della scrittura come la saggistica infatti hai elaborato un testo su Lovecraft per la rivista “Studi Lovecraftiani”. Preferisci il ruolo di scrittore o di saggista e perché?
Sicuramente preferisco scrivere narrativa perché mi consente di dare maggior sfogo alla mia creatività, mentre l’attività di saggista richiede sempre molto studio e analisi. Le incursioni nel mondo della saggistica che ho fatto, oppure ho in corso di lavorazione, infatti, normalmente sono un contributo quasi da fan verso autori che amo e seguo molto. Non mi ritengo realmente uno studioso degno di questo nome e reputo i miei interventi di saggista più degli omaggi, che dei veri lavori di studio degni di nota, anche se il tema di Lovecraft come disegnatore non penso sia mai stato trattato altrettanto profondamente nemmeno in USA, come ho fatto io.
Eserciti la professione forense. Scott Turow e John Grisham, avvocati anche loro, sono due grandi scrittori americani di legal thriller. Cosa pensi di tale genere visto che è confacente alla tua professione. Hai mai pensato di scrivere questo tipo di storie?
Non sono un grande lettore di legal thriller. Conosco un po’ Grisham, ma più per film o fama, che per letture. Preferisco i gialli, ai legal, ma raramente mi avventuro fuori dal fantasy o dall’horror: come accennavo, io ho un grande bisogno di evadere dalla realtà e sicuramente dal mondo giuridico, a cui già dedico troppa mente (sapessi quante volte mi sveglio alla notte ripensando a una pratica o una scadenza). Anche per questo non ho mai pensato seriamente di scrivere qualcosa di legal: inoltre, la mia pignoleria professionale mi porterebbe a uno studio assurdo e alla predisposizione di una trama così dettagliata che sento finirei col trasformare la scrittura di un romanzo in qualcosa di snaturato.
A conferma delle sue inclinazioni narrative, Francesco ci svela che sta lavorando a una saga fantasy il cui primo volume è già pronto. La storia? La apprenderemo dalle pagine del suo nuovo libro!
Filippo Radogna