Nicoletta Vallorani è nata a Offida (Ascoli Piceno), nelle Marche. Dopo gli studi universitari a Pescara ha iniziato la carriera accademica e oggi è docente di Letteratura inglese e Letteratura angloamericana all’Università Statale di Milano. Scrittrice molto apprezzata in Italia e all’estero (tradotta in Francia e Inghilterra), la sua prosa attraversa vari generi: dalla fantascienza, al noir, al mainstream, cimentandosi con successo tanto da guadagnarsi il Premio Urania Mondadori nel 1992 con il romanzo noir cyberpunk Il cuore finto di DR, mentre con il visionario Lapponi e criceti nel 2011 è stata finalista al Premio Bagutta. All’attività narrativa unisce quella di traduttrice. Attualmente sta completando un romanzo di una trilogia ambientata nella Milano del futuro, inaugurata anni fa, con il noir Eva (Einaudi).
Cominciamo dal tuo lavoro. Insegni Letteratura inglese e angloamericana. Ci sono autori che appartengono alla fantascienza e al fantastico nei tuoi programmi? Se sì quali?
Mi occupo di scrittori contemporanei, dunque nei programmi ci sono sempre autori collocabili nell’area del fantastico. È una categoria editoriale che non si può evitare, e che di norma gli studenti amano molto. Nel programma dello scorso anno, ad esempio, c’erano Octavia Butler, James Tiptree Jr. e Nnedi Okorafor. P. K. Dick è molto spesso incluso, sebbene sia complesso per studenti non abituati a leggere science fiction. E a volte faccio scelte insolite, e torno alle origini inglesi della narrativa di questo tipo, col Frankenstein di Mary Shelley, oppure con romanzi di H.G. Wells.
Cosa unisce e cosa differenzia nella narrativa fantascientifica gli inglesi dagli americani e in questi anni cosa li ha caratterizzati?
Difficile separare un asse britannico da quello americano contemporaneo, e va bene così. Vi sono state molte contaminazioni, in anni recenti, spesso anche mediate dal graphic novel e dal cinema. Ci sono autori che amo moltissimo, come Tricia Sullivan e Ian McDonald. Questi due scrittori molto diversi, in particolare, hanno una forma di originalità anche stilistica che trovo coraggiosissima e molto interessante.
Parlando di letteratura mainstream, recentemente è scomparso Philip Roth, uno tra i più grandi scrittori nordamericani. Roth è stato definito colui che ha interpretato l’America contemporanea. Condividi questo giudizio?
E’ stato un grandissimo narratore, che ha saputo raccontare alcuni aspetti fondamentali della vita americana in momenti storici precisi e molto complessi. American Pastoral è senz’altro un capolavoro. Non si può fare a meno di conoscerlo. Al tempo stesso, gli USA sono un paese grande diversificato. Direi che è impossibile raccoglierne l’interpretazione in una sola, pur sublime, voce.
Relativamente alle tue opere, sei stata la prima donna a vincere il Premio Urania nel 1992 con Il cuore finto di DR. Oggi a distanza di tanti anni qual è il tuo pensiero circa questo genere letterario?
Si cambia sempre, e sarebbe assurdo dire che la penso come allora. Però qualcosa che non è cambiato ancora c’è: credo che la fantascienza sia uno spazio interessante e nel quale è bello abitare.
Ti occupi anche di noir. Quest’ultimo genere oggi va moltissimo, come spieghi il grande favore da parte dei lettori?
Il fatto che sia narrativa sociale per elezione. Io ho questa ambizione di rendere utile quel che faccio, anche in un momento in cui la vita politica per prima, in Italia, ci dice che la cultura non sempre è importante, nella formazione come nelle modalità di interazione. Meglio esser rozzi, ci dicono. Beh, io non lo credo affatto.
E poi scrivi anche storie per l’infanzia. Come cambia il mestiere di scrittore nella stesura di un testo per adulti da quello di un testo per bambini? Quali ragioni ti muovono a scrivere per i più piccoli e che tipo di storie?
Non cambia. Ti viene solo più paura del pubblico, che è inflessibile. E le ragioni son le stesse. Si scrive come si respira: perché se non lo si fa, si muore.
Filippo Radogna