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Max Gobbo, ‘sognatore realistico’

Max GobboFu l’illustre poeta e intellettuale Libero De Libero (1903-1981) a profetizzare il felice percorso da scrittore di Massimiliano Gobbo. E Massimiliano (Max per gli amici) forte di questa predizione e consapevole delle sue attitudini ha saputo farne tesoro mettendo nero su bianco le sue fantasie di ‘sognatore realistico’, come ama definirsi, scrivendo racconti fantastici e romanzi. Tra questi ultimi ricordiamo “Alasia La Vergine di Ferro” (Watson 2017), secondo classificato al Premio Nazionale Cittadella e “L’occhio di Krishna” (Bietti 2017), giunto al secondo posto al Premio Cassiopea e finalista al Premio della critica Ernesto Vegetti. Lo scorso anno ha pubblicato “Lo chiamavano Jack Pitone” (Homo Scrivens). Autore di saggi collabora con vari magazine tra i quali Andromeda, Hyperborea, Dimensione Cosmica, Antarès e con il quotidiano on line Barbadillo. Max vive a Patrica, in provincia di Frosinone, è diplomato all’Isef e svolge la professione di docente, oltre alla letteratura ama il cinema e le arti marziali.

Parlaci della tua narrativa che è abbastanza varia, ti piace sperimentare?
In verità non credo d’avere una mia narrativa, nel Un momento del'intervistasenso che non ritengo di possedere alcunché riguardo la scrittura. Mi spiego meglio: Pasolini diceva che, quando componeva, era come in uno stato di grazia. Lovecraft, invece, asseriva di limitarsi a mettere su carta i suoi incubi notturni. Qualcosa del genere capita anche a me. In effetti non esercito un vero controllo su ciò che scrivo; insomma più che possedere qui si tratta di possessione. Il demone della scrittura si manifesta e ti prende… il resto viene da sé. Se poi devo pronunciarmi sulle tematiche e gli influssi insiti nei miei lavori, posso dire che la mia narrativa è certamente multiforme e poco ortodossa. Scrivo di vari generi, non mi pongo limiti di sorta, e amo molto mescolare i più diversi ingredienti. Sperimentare, sempre…

Hai cominciato a scrivere prosa o sei passato prima attraverso la poesia?
Da bambino facevo poesia, e sapevo che un giorno avrei scritto un romanzo. Poi, circa dieci anni orsono, mi sono detto che forse valeva la pena tentare… Mi è andata bene. Vedi Filippo, se dovessi esprimere quel che penso in proposito con un’immagine, direi che dedicarsi alla scrittura è come salire sopra un trapezio senza rete di protezione. Sì, ci deve buttare!

Ti occupi di fantastico e non. Puoi spiegarci in che modo si sviluppa quello che scrivi?
Alle volte basta un’idea, un’immagine o un profumo, ed ecco che scatta qualcosa… Ma poi è necessario un po’ di tempo. Ricordo ad esempio, che quando scrissi Capitan Acciaio supereroe d’Italia, uno dei miei primi romanzi, avevo questa idea d’un supereroe italiano d’epoca umbertina, null’altro. Poi, a poco a poco, mi balenarono in testa delle immagini, delle scene: la trama prese forma ramificandosi sotto i miei stessi occhi. In definitiva posso dire che sono i personaggi stessi a narrarmi le loro avventure, io mi limito a prenderne nota. Talvolta penso che più che uno scrittore (parola grossa), io sia una sorta di medium.

Tra i tuoi autori preferiti c’è Tommaso Landolfi che fu un interprete del realismo magico, ma anche Libero De Libero sul quale hai tenuto tempo fa una relazione all’Istituto Lorenzo de’ Medici a Tuscania (Viterbo), quali punti hai affrontato nella tua riflessione?
Sia Landolfi che De Libero sono ciociari, proprio come me. Sia come sia, le tematiche del realismo magico di bontempelliana memoria mi hanno sempre attratto. Se poi uno si va a leggere “La pietra lunare” di Landolfi, si comprende subito la ragione per cui è stato spesso accostato a Kafka. La raffinatissima opera di questo magnifico anfitrione del fantastico, è paragonabile a uno scrigno colmo di meraviglie, in cui al reale si mescola in modo mirabile e indefinibile all’immaginario; una poetica straniante e surreale che darebbe filo da torcere ai più grandi maestri d’oltreoceano. Insomma oltre al Solitario di Providence, il Solitario di Pico. Riguardo al grande poeta Libero De Libero, definito per decenni dalla critica ufficiale un esponente dell’ermetismo, io ho avanzato l’idea (ma anche Contini era dello stesso avviso), che nel suo poetare vi sia una forte componente fantastico-gotica. Questa mia tesi, come tu hai ricordato, ho avuto modo di presentarla in un convegno internazionale di accademici provenienti da tutto il mondo.

E proprio su De Libero c’è un episodio che ci piacerebbe che tu ci narrassi…
Volentieri. Lo conobbi da ragazzino. Ricordo che mi ricevette nel suo minuscolo studio assediato dai libri per leggere una mia poesia sgraziata. Fu in quell’occasione che predisse la mia futura carriera di scrittore. Oggi dopo quarant’anni, ripensandoci, mi sento attraversare da un fremito…

Il futurismo è spesso presente nelle tue storie. Lo hai approfondito? E cosa ti piace di quelle avanguardie?
Sì, il futurismo è un tema che ho avuto modo di toccare in certi miei lavori. Ciò è in parte dovuto al loro periodo d’ambientazione che si colloca, come orizzonte temporale, fra la Belle Époque e lo scoppio della Grande Guerra. Si è trattato d’un’epoca straordinaria, caratterizzata da grandi fermenti artistici e culturali, ma anche da importantissime scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche. Un’autentica miniera d’oro per uno scrittore dell’immaginario. Detto ciò, trovo le avanguardie, nella loro generalità e complessità, assai interessanti e ricche di stimoli. Il fatto è che a differenza del mondo contemporaneo, in cui si assiste a una impressionante stagnazione culturale, i periodi di cui parliamo erano caratterizzati da una vivacità artistica e letteraria strabilianti. Oggigiorno, a mio modo di vedere, si dovrebbe parlare di retroguardie e non certo di avanguardie. Ma è un discorso lungo e articolato, e non è questa la sede adatta per affrontarlo.

Scrivi spesso narrativa riferita alla Storia e ad autori italiani. Per esempio nel romanzo “L’occhio di Krisnha” c’è Salgari che rivive in prima persona le avventure che ha narrato e lo fa in compagnia del vate D’Annunzio, ma ci sono altri personaggi veri o di fantasia già noti…
L’occhio di KrishnaÈ vero, amo moltissimo calare dei personaggi reali in un contesto fantastico. D’altronde non capita tutti i giorni d’aver a disposizione un ‘attore’ della statura di Emilio Salgari. In effetti ne “L’occhio di Krishna”, pastiche letterario a mezza via tra il retrofuturo e l’avventuroso, lo scrittore veronese ha un ruolo di grande rilievo. Egli, proprio come avrebbe desiderato, è un vero capitano di vascello, alleato e amico fraterno dei suoi stessi personaggi, Sandokan, Yanez, Tremalnaik, ecc. Accanto a lui ho voluto altri protagonisti assoluti come Gabriele D’Annunzio e la pestifera giornalista in odore di suffragismo Vera Merlin. In merito alla presenza icastica del Vate, egli come gli altri, impersona se stesso, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Un protagonista tra i protagonisti! Il romanzo, come molti dei miei lavori, nasce da un racconto in cui Salgari, D’Annunzio e Vera, rinvengono, in una pagoda perduta nella giungla indiana un gioiello d’immenso valore, “L’occhio di Krishna”. Jack Pitone

Il tuo ultimo lavoro è intitolato “Lo chiamavano Jack Pitone”, questa volta però si tratta di un romanzo realistico. Chi è Jack Pitone?
E’ uscito alcuni mesi fa e si tratta appunto di un romanzo realistico (non mi occupo solo di fantastico) ispirato all’opera del principe del realismo sporco americano, Charles Bukowski. Nonostante il consenso espresso dalla critica, credo che sia davvero un romanzo folle. Sarà per questo che mi sono divertito un mondo a scriverlo!

Hai varie collaborazioni con riviste di saggistica, di cosa scrivi e quali temi tratti?
Sì, Filippo, ho all’attivo molti articoli e saggi pubblicati su riveste professionali e in volume. I temi che affronto spaziano tra il cinema e la letteratura. Per quel che concerne il tema letterario mi preme sottolineare che non credo assolutamente nell’esistenza di gerarchie valoriali fra il così detto mainstream e la letteratura di genere. Come diceva Oscar Wilde, sono convinto che esistano due soli tipi di libri: “quelli scritti bene e quelli scritti male”.

Ci permettiamo di condividere il pensiero del grande scrittore e poeta irlandese e ci piace anche aggiungere che i libri scritti da Max si inseriscono nella prima categoria!

Filippo Radogna

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