“La pentola ribolle continuamente. Il 2019 è stato un anno ricco di iniziative e di pubblicazioni, e il 2020 – nonostante i rallentamenti e i problemi che la pandemia in corso inevitabilmente ha portato con sé – dovrebbe vedere l’uscita di diversi racconti che avevo messo in cantiere nello scorso anno. Anzi, uno è già uscito, ‘La lacrima di Inanna’, all’interno dell’antologia ‘La Terra degli Annunaki’, dedicata a fantastiche avventure sotto i cieli stellati della Mesopotamia. Infine, sono anche al lavoro su progetti più corposi”. E’ Andrea Gualchierotti che parla, autore quarantaduenne, romano, laureato in sociologia alla ‘Sapienza’ risiede ad Anguillara Sabazia, comune della città metropolitana di Roma Capitale che si affaccia sul Lago di Bracciano, con visibili origini risalenti al neolitico e con notevoli testimonianze di epoca romana. Andrea è un ‘metallaro’ che non ama la musica ad alto volume, fuma il sigaro anche se pratica sport, è un grande lettore di libri pur navigando tantissimo in internet. Appena può rimane con i propri cari e con i suoi gatti, si interessa di storia in generale, numismatica e gli piace viaggiare: “Come faccio spesso -ci ha detto- anche quest’anno vorrei tornare in Grecia, ma temo che per le limitazioni imposte dal coronavirus non sarà possibile: è la mia meta preferita e cerco di andarci ogni volta che posso”.
Dalla tradizione greco-romana, che caratterizza molto la sua cultura e la sua scrittura, parte la nostra intervista.
La storia è la disciplina che studia il passato dell’uomo aiutandoci a capire il presente. Che suggestioni ti dà la storia antica e da dove proviene questa tua propensione?
Credo che ciascuno di noi abbia una sorta di habitat mentale innato, una serie di suggestioni e pulsioni così vecchie da risalire probabilmente ai primordi della nostra infanzia, quando la mente riceve un imprinting indelebile che poi ci portiamo appresso tutta la vita. Ecco, senza esagerare credo che la mia passione per la storia abbia questo tipo di origine, tanto che non saprei dire quando è nata. Sicuramente, avere avuto fin da bambino a portata di mano molti libri e saggi – merito di mio padre con cui tuttora condivido interessi e letture – è stato fondamentale per indirizzarmi in questa direzione. Così come l’essere nato a Roma, e aver avuto sotto gli occhi già in tenera età rovine la cui maestosità e bellezza mi interrogavano e soprattutto mi facevano sognare, quasi facendomi rivivere nella mia testa episodi famosi e non del passato.
È questo che ti ha portato a scrivere di miti combinati con il fantastico? Come si riflette la cultura classica nei tuoi romanzi e nei tuoi racconti?
Riguardo il mito, che della storia dell’antichità classica è il cugino ineludibile, potrei dire la stessa cosa. Gli studi classici liceali, i successivi approfondimenti in particolari aree tematiche come la storia delle religioni o la numismatica sono state tutte esperienze che in qualche misura hanno reso il mito un compagno permanente della mia vita intellettuale. È una fonte senza fine di fascino e un modo insostituibile di leggere la realtà, anche in termini spirituali.
Come si può intuire da quanto detto finora, era abbastanza inevitabile che i miei lavori come autore fossero influenzati da questo immaginario. Nolente –ma soprattutto volente – inserisco richiami palesi alla cultura classica in quasi tutti i miei scritti. A volte si tratta di semplici allusioni, altre – come nel mio ultimo romanzo ‘La stirpe di Herakles’ (Ed. Il Ciliegio-2019, ndr) il mito costituisce l’ossatura portante dell’idea sviluppata tramite la scrittura. È un serbatoio senza fine, che non a caso alimenta la creatività degli scrittori da 3000 anni e più.
Puoi fornirci notizie riguardanti ‘La stirpe di Herakles’?
Si tratta di una mia personale rivisitazione della leggenda del ritorno degli Eraclidi, l’invasione mitica che dopo la fine della guerra di Troia avrebbe portato alla fine dell’epoca micenea, distruggendo le rocche dei re guerrieri e consegnandoli al mito. Avevo intenzione – e i miei lettori potranno dirvi se, come spero, ci sono riuscito – di scrivere una fosca storia di vendetta, dove un re detronizzato dell’Età del bronzo scopre via via segreti sempre più incredibili legati alla stirpe di Titani che pare pronta a invadere la Grecia, e che invece… il tutto condito con molta azione in puro stile sword&sorcery, e una spruzzata di orrori lovecraftiani. La sfida era dunque descrivere un’Ellade diversa da quella solare e piena di marmi che ritroviamo negli stereotipi, e farne invece una terra selvaggia dove sovrani con cimieri di bronzo affrontano sacerdotesse, culti misteriosi e creature fantastiche. Che poi è proprio quello che ci raccontano gli antichi autori. Io ho aggiunto soprattutto l’ingrediente dell’avventura, puntando poi a un finale che… beh, su questo credo proprio non sia il caso di sbottonarmi! Ma se non temete di restare stupiti da una storia che cambia direzione quando meno ve l’aspettate, allora ‘La Stirpe di Herakles’ fa per voi!
Hai pubblicato altre storie, anche scritte a quattro mani, mi riferisco alla ‘Saga di Atlantide’…
L’ho scritta assieme al mio amico Lorenzo Camerini ed è composta da ‘Gli Eredi di Atlantide’ e ‘Le guerre delle Piramidi’, entrambi pubblicati dalle Edizioni Il Ciliegio. Si tratta di una doppietta di romanzi di avventura un po’ più classica, con meno elementi fantastici ma una maggiore componente di esotismo, specie negli scenari, e che racconta, come è facile intuire, le vicende dei sopravvissuti alla fine del più celebre dei continenti perduti. Senza timore di smentita, la consiglio a tutti gli amanti dell’archeologia misteriosa e dei misteri del passato: è pane per i vostri denti!
Quale libro di cultura classica ti ha influenzato? E quale invece contemporaneo?
Ardua scelta! Se in passato, avrei subito citato senza esitazione Omero – e non avrei detto una bugia– negli ultimi anni la rilettura della tragedia greca e in generale di Sofocle credo mi abbia influenzato non tanto in termini di scrittura, ma a livello di atmosfere, di ricerca complessiva di una solennità drammatica e cupa che però cerco sempre di legare a scenari avventurosi e fantastici. Tra i moderni, distinguerei almeno tra autori fantastici e non, e quindi mi gioco certamente il nome del mio nume tutelare R.E. Howard, ma anche quello del grandissimo Jim Thompson, autore di thriller d’annata dal sapore amaro e cinico. Non credo mi abbia influenzato come scrittore, ma come persona certamente sì. Come terzo non richiesto, aggiungerei infine anche la Bibbia; la musicalità, il ritmo e la ieraticità di certe scritture sacre del Vecchio Testamento sono sicuramente qualcosa che ho nell’orecchio e che talvolta trovano una eco personale e modestissima in ciò che scrivo.
Il giornalista e filosofo Marcello Veneziani nel saggio ‘La nostalgia degli Dei’ (Marsilio 2018) sostiene che la società odierna è schiacciata sul presente. Tu hai svolto studi in sociologia, qual è il tuo pensiero? E cosa rimane dei miti nella modernità?
Non sono una persona che ragiona in termini ideologici. E come tutti coloro che sono nati nel mondo moderno, ne sono influenzato e ne apprezzo diversi aspetti. Siamo tutti figli nel bene e nel male del nostro tempo, e l’importante è esserne coscienti. Detto questo, e indossando per l’occasione il mio vecchio berretto da sociologo (non per niente la sociologia nasce con la modernità, e non potrebbe essere altrimenti) mi sento di dire che lo scenario che stiamo attraversando è indubbiamente di decadenza. Chiariamo subito: non si tratta di un giudizio moralistico. Ma che l’Occidente sia da tempo su una china suicida, priva di vere prospettive per il futuro in termini di visione collettiva che dia un senso alle vite di molti, non è certo una novità. Tempo fa mi è capitata sotto mano una frase di Tolkien, che credo condensi nel modo giusto il legame tra le mie considerazioni di cui sopra e il rapporto del mondo moderno con il mito: “Dopo tutto io credo che i miti e le leggende siano in gran parte fatti di ‘verità’, e in realtà presentino aspetti della verità che possono essere recepiti solamente sotto questa forma; e certe verità furono scoperte molto tempo fa e ritornano sempre.” Ecco, aver voluto chiudere gli occhi di fronte a certe verità ineludibili, pensando di poter fare a meno di cose invece necessarie alla nostra natura umana, ci ha condotto dove siamo oggi. Ma siamo ancora in tempo per cambiare strada.
In molti dicono che dopo l’emergenza generata dal Coronavirus la nostra vita non sarà più la stessa. Come stai vivendo questo complicato momento e come immagini il nostro futuro prossimo?
Una domanda davvero difficile. Personalmente sono un privilegiato: vivo nel Centro Italia, nel Lazio, dove la situazione – nel momento in cui scrivo – è complicata ma sostanzialmente sotto controllo. Sono in quarantena con i miei cari, e nonostante qualche disagio non ci manca nulla. Altrove purtroppo è invece il momento del lutto, e pensare alle tante famiglie provate da questa disgrazia mi rende inevitabilmente triste. Ciò detto, credo che, come per molte altre prove del passato, anche questa sarà superata, sebbene al netto delle cicatrici che lascerà. Come cambieremo? Non lo so. Molte persone erano già prima insoddisfatte della propria realtà, e credo che questa crisi abbia tolto il velo a molte ‘narrazioni’, come le definiscono, che servivano a giustificare lo status quo come inevitabile e tutto sommato auspicabile. Per molti, ormai, l’illusione è finita, e politica e società dovranno tenerne conto. Se saremo saggi, credo che alla fine potrà essere una buona occasione per riprendere le redini di processi che ci stavano sfuggendo da troppo tempo.
Concordiamo, occorre fare tesoro anche delle brutte esperienze, guardare oltre e focalizzare l’attenzione sui progetti futuri. Un saluto Andrea e ad maiora!
Filippo Radogna