Sarà forse per la straordinaria visione storica dell’evento drammatico, sarà forse per la non comune capacità narrativa, sarà forse per la competenza nella scrittura, sarà forse per l’abilità nel tratteggiare i personaggi uscendo dagli stereotipi abusati, sarà forse per quel senso del meraviglioso che riesce a infondere persino nella descrizione della morte, sarà forse per la sorprendente credibilità della follia che sconvolge a tratti, sarà forse per quella suspense degna del miglior romanzo giallo, sarà forse…
Mi rimprovero di aver letto dopo alcuni anni questo stupendo romanzo storico (*) che Luigi De Pascalis mi ha donato. Avevo soltanto bisogno di iniziare a scorrere le sue pagine per esserne subito catturato. E cosa c’era di meglio di qualche giorno trascorso al mare sotto l’ombrellone? Confesso di essermi sentito un emarginato, io con un libro in mano, circondato da gente ipnotizzata da quel giocattolo 7×14 che è in grado di riferire a qualcuno (chi?) tutto di te, di ciò che cerchi, di quello che ti piace, persino dei tuoi sogni, per subissarti di proposte d’ogni genere. Il libro è senza dubbio l’oggetto più esclusivamente tuo che puoi gestire, senza che nessuno sappia cosa insegue la tua mente nella lettura, senza poterla ingabbiare in offerte d’acquisto. Guardavo i forzati dei cellulari, poi guardavo il libro che stringevo tra le mani e sorridevo. Nessuno di loro poteva fare un volo pindarico simile a quello che mi portava in una ‘quasi’ realtà storica a conoscere nuova-vecchia gente, a conoscere incredibili battaglie, a conoscere com’era la vita nel quindicesimo secolo, quando quello che si viveva poteva essere l’ultimo giorno.
L’autore ha avuto l’incomparabile abilità di aprire e chiudere un cerchio storico con la nascita e la morte del personaggio narrante, descrivendo una vita che ciascuno di noi sarebbe stato felice-infelice d’averla vissuta.
De Pascalis è un autore le cui opere andrebbero insegnate in tutti i corsi di scrittura e approfondite in quelli di lettura, è un autore che andrebbe studiato per poter aspirare a scrivere qualcosa di buono.
La sua grande abilità si manifesta anche in quelle piccole storie che costellano il cielo della Storia, con la ‘S’ maiuscola, che ha mutato l’umanità. E c’insegna che ogni momento di grande storia che conosciamo nasce da una miriade di piccole storie che apparentemente sono fini a se stesse, ma che poi determinano mutamenti, vittorie e sconfitte, come quella del costruttore di cannoni. De Pascalis si dimostra maestro anche di vita e fine forgiatore di linguaggio a tratti fluente e comune, a tratti tanto forbito da indurti a prender appunti.
Sarà forse per quella ricerca della parola giusta al momento narrativo giusto cosa non comune, specie per una lingua, la nostra, che ha cento varianti per dire la stessa cosa, ma tutte con una sfumatura differente.
Sarà forse per quei motti e pensieri che sugge dai filosofi per regalarle al lettore.
Sarà forse per la mirabile capacità di trasformare il narrato in immagini e le immagini in struggenti sentimenti.
Sarà forse per quella conoscenza dimostrata in settori che dovrebbero esserci estranei, come l’uso della armi da guerra e della polvere da sparo, accennando anche a quel ‘fuoco greco’ tanto utile in mare quanto inutile sulla terra o la medicina, o l’arte di forgiare il bronzo o a quella di governare.
Sarà forse per quella coerenza che mostrano i suoi uomini e le sue donne di fronte al dramma della morte.
Alcune volte avrei desiderato una conclusione differente alle piccole storie, e anche l’Autore sembrava desideroso di mutarla, ma alla fine si capisce che lui non avere scelta, perché le vicende della vita non si possono né scegliere né pilotare.
Non è facile, signori, credetemi, non è affatto facile.
Come non è facile comporre quel meraviglioso affresco storico in cui Costantinopoli assiste incredula alla propria fine. Con le indistruttibili mura distrutte.
Tanto di cappello a chi, dopo questo libro, si è confermato un grande della narrativa italiana, tanto di cappello a un autore del fantastico che ha dimostrato che si può scrivere di storia quasi fosse avventura.
Grazie, amico mio, per avermi ‘costretto’ a guardare le mie cose con occhio molto più critico e avermi ‘costretto’ a migliorare come narratore.
A questo dovrebbe sempre servire un ottimo libro.
(*)”Notturno bizantino.La lunga fine di un impero” di Luigi De Pascalis (La Lepre Edizioni). Candidato allo Strega 2016 e segnalato al Campiello 2016