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Franci Conforti e il Premio Odissea 2020

FranciL’approccio di Franci Conforti con la scrittura e con la lettura è a tutto tondo: fantastico, scientifico e politico – sociale, dei diritti e della tutela della persona e dell’ambiente (è molto sensibile al movimento ecologista che rimane uno dei suoi cavalli di battaglia). Biologa, autrice di romanzi e racconti di fantascienza molto apprezzati, giornalista professionista, è docente all’Accademia di Belle arti di Milano, città dove vive da molti anni dopo essersi traferita dal Cairo, la capitale dell’Egitto, dove è nata. Legge di tutto e adora i manuali e i saggi scientifici, colleziona libri e conchiglie, ama la conversazione e le uscite notturne, i giochi di ruolo e gli animali (ha passato la vita tra gli husky), sogna di viaggiare anche se è sempre in giro per lavoro, è sposata, ha un figlio, ascolta musica di vario genere, ha praticato vari sport dal nuoto, alla vela, allo sci sino all’equitazione e oggi quando ha tempo trae giovamento da lunghe e riflessive camminate (rigorosamente con la mascherina).

Per prima cosa mi sembra giusto farti i complimenti per la nuova vittoria al Premio Odissea 2020 -ex aequo con Nino Martino- con il romanzo, in pubblicazione da Delos, “Eden”. Avevi già vinto nel 2016, te lo aspettavi?
La verità? Sono profondamente pessimista, è una difesa dalle disillusioni. Quindi no, non me lo aspettavo; mi vietavo di sperarlo e anche di pensarlo. È stata una grande gioia. Grazie a Delos e a chi ha letto i nostri lavori.

La scorsa volta trionfasti con “Spettri e altre vittime di mia cugina Matilde” (Delos Digital) un testo urban fantasy con spettri e storie di misteri, un omaggio a Dino Buzzati. Come mai proprio all’autore de “Il deserto dei Tartari”, cosa ti accomuna a lui?
È uno degli scrittori che porto sempre con me. Anzi, è l’unico che Spettri vive con me. Anni fa scoprii che la casa in cui abito è stata sua. Qui ha scritto proprio “Il deserto dei Tartari” che hai appena citato e il suo fantasma infesta la mia cucina. Una presenza critica, sia chiaro. Mi guarda perplesso, abbassando gli angoli della bocca. Ha da ridire sulla qualità del mio lavoro, non sul genere. La fantascienza gli piace. Per il resto credo avrebbe preferito una convivente diversa. Che so, una donna di mondo o una cultista di Osiride. Avere me la considera un po’ una sfiga. Però, qualche giorno fa è stato il suo compleanno (il 16 ottobre) e come sempre abbiamo festeggiato. Luci soffuse, candele, un buon bicchiere. Sono le serate in cui si fa pace.

Invece in “Eden”, che lo vogliamo ricordare è stato finalista al Premio Urania 2018 con il titolo “Eresia”, il genere è totalmente diverso, affronti, da quanto mi sembra di aver capito, l’argomento del rapporto tra uomo e dei. E’ così?
Confermo, i due romanzi non hanno nulla in comune, però, il fatto che in “Eden” parli degli dei è una interpretazione, errata, della tratteggiatura fatta da Delos. Lo specifico perché non sei il primo a dirlo. In “Eden” esiste un solo e unico dio. Ma il tema non è dio. È la morte o, se vuoi, il suo opposto. È mettere in scena un luogo in cui la morte non esiste e paragonarlo al nostro. Quello che ne viene fuori è un mondo tenero e spietato. Terribile, per certi versi, anche se, personalmente, farei a cambio. Dio è uno dei personaggi principali, ma non l’unico e non è il protagonista. Fa da spalla, gioca di sponda, sfuggendo agli stereotipi che solitamente gli appioppiamo. Insomma, come si dice sempre nelle recensioni, è un dio a tutto tondo.

A quale interpretazione intendi giungere?
Mi chiedi a quale interpretazione intendo giungere. Dio me ne liberi, spero nessuna. Faccio di tutto per buttare giù porte e lasciare libero chi legge. Non scrivo per educare, ho troppo rispetto per le persone. Scrivo per divertire, cioè per “volgere altrove” chi sceglie la mia compagnia.

Parlando ancora di tuoi libri che hanno avuto ottimi riscontri, con “Stormachine” (Delos Digital), dedicato alla vita su una colonia agricola spaziale, ti sei imposta al Premio Vegetti 2019 e sei stata finalista al Premio Urania 2016…
PremioIl Vegetti per me è stato un premio Stormachine indimenticabile quanto inatteso. Ci penso spesso, anche alla convivialità di quella giornata. Donato Altomare (presidente della World SF Italia, ndr), oltre che una grande penna, è un ospite meraviglioso. Sono doti rare. Per quanto riguarda “Stormachine”, è una specie opera a pieno titolo. Sono molto affezionata a quel libro. Spero di farne uscire presto l’edizione corretta e riveduta. È stata possibile grazie ad Alberto Farina, uno dei grandi esperti italiani di cinema, che ha preso a cuore il libro. Dovevo farlo uscire a marzo, ma il Covid ha bloccato tutto. Invece Stormachine II, per ora, esiste solo nella mia testa, ci devo giocare ancora un po’ prima di metterlo su carta.

Mentre con “Carnivori”, in cui affrontavi un tema bioetico, nel 2017 ti sei classificata al primo posto al Premio Kipple. Ce ne vuoi parlare? E poi, oggi ci sono tante questioni importanti inquadrabili nella bioetica a partire dai problemi ambientali per arrivare alla globalizzazione, alle migrazioni di massa dai Paesi poveri, sino all’attuale pandemia che sta scompaginando le nostre vite e gli equilibri del Pianeta. Sei ottimista o pessimista sul futuro? Che idea hai in proposito? Cambierà la nostra esistenza?
Mannaggia, questa è una domanda matrioska. Fregandomene dei giochi di parole, ti dirò che “Carnivori” è un libro in cui ho buttato molta carne al fuoco. L’ho fatto però con garbo, nascondendo braciole e costolette in mezzo alla trama. Il perno centrale resta l’alimentazione, il significato che ha dover uccidere per vivere. È una specie di condanna da cui, per ora, non si scappa. Per il resto (riscaldamento, globalizzazione, migrazioni, pandemia ecc..) vorrei tanto che i problemi fossero solo questioni bioetiche, ma temo non sia così. Stiamo vivendo un dramma alla cui base c’è un unico grande problema: siamo tanti e iperattivi. Il mio pessimismo in questo caso nasce dal fatto che qualsiasi intervento -umano o naturale- è una tragedia che stronca qualcuno o qualcosa. Non se ne esce, non gratis, non a basso prezzo. Esorcizzare quel prezzo è fantascienza.

Il Cairo, la capitale egiziana, è la città dove sei nata e hai vissuto i primi anni della tua vita. Oggi da intellettuale cosa ti viene da pensare quando ascolti i telegiornali sull’ Egitto governato dal generale Abdel Fattah al Sisi?
Ci sono nata, ho assorbito gli odori, la luce e le voci di quella terra. Me li porto dietro come qualcuno si porta dietro il ricordo della cucina della nonna o l’asilo in cui andava. Il primo amore. Ero molto piccola, il mio è un legame fisico. Mi piacerebbe tornaci e vedere come stanno le cose. Farmene un’opinione personale. Sono una giornalista e, francamente, credo che sia molto difficile cogliere e raccontare la complessità delle situazioni. Che ci sia una deriva pericolosa dei diritti umani è palese, augurarsi che smetta è un’ovvietà, sperare in una sostituzione di al Sisi è un tiro di dadi. Proclami e questioni di principio hanno già miliardi di follower, cerco di evitare gli assembramenti.

Sei docente all’Accademia di Belle Arti di Milano, quale disciplina insegni? Che rapporto hai con i tuoi allievi e come ti sembrano sotto l’aspetto creativo rispetto alla gioventù del passato? Sperano in un mondo migliore?
Mi piace frequentare chi ha meno anni di me. È il mio modo d’essere un’entomologa, li studio manco fossero farfalle: come ero io, come sono loro, come diventeranno. Di differenze ne trovo sempre troppo poche. E questo, se da una parte mi delude, dall’altra mi rassicura. Per la creatività è difficile fare un paragone. Prima si dava la caccia alla novità e alla rottura delle regole, oggi al merge di successo. Adesso, come allora, si usa ciò che si ha per le mani. Mi chiedi se sperano in un mondo migliore. Non lo so. Non ho mai provato a domandarglielo. Spero siano già felici in questo. Cosa insegno? Quest’anno: Tecniche dei nuovi media integrati, Seo copywriting e Copywriting. Metà dei miei studenti sono cinesi e alcuni di loro sono ancora bloccati in patria per il Covid ed eseguono le lezioni online. E, detto per inciso, quello che insegno loro c’è anche nei libri, quello che imparo ascoltandoli non ha prezzo!

Filippo Radogna

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