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Massimo Acciai Baggiani, autore esperantista

Massimo«Mandare uomini su Marte e riportarli sul nostro pianeta/Abbiamo la tecnologia per farlo. Clonare un uomo e una donna, manipolare il genoma/Abbiamo la tecnologia per farlo. Sostituire i nostri organi interni con protesi costruite ad arte/Abbiamo la tecnologia per farlo. Scoprire i misteri del cosmo, l’origine stessa della vita/Abbiamo la tecnologia per farlo. Guardare nel nostro cuore oscuro e cambiarlo con nuova consapevolezza. Guardare negli occhi un bimbo abbandonato e vedervi noi stessi fare nostro il suo dolore/Abbiamo il coraggio per farlo?». Questi versi futuristici e di profonda riflessione etica scritti nel 2017 sono di Massimo Acciai Baggiani e rimandano a quelle che sono le peculiarità della scrittura dell’autore il quale sia che si tratti di poesia, sia che si tratti di prosa esplora tematiche che hanno sullo sfondo i problemi esistenziali dell’uomo. Massimo abita a Firenze, città dove è nato nel 1975, esperantista ed editor, ha pubblicato una ventina tra testi poetici, di saggistica e di genere narrativo. E’ fondatore e dirige il blog di letteratura varia “I segreti di Pulcinella”. Ha una predilezione per i testi musicali.

Ti sei laureato con una tesi sulla comunicazione nella fantascienza ce ne vuoi parlare?
Andò così, nel 2000 chiesi la tesi al prof. Ghino Ghinassi di Storia della lingua italiana. Purtroppo il prof. non mi poté seguire per problemi di salute, così ripiegai sul prof. Luca Toschi, di Teoria e tecnica dei nuovi media, il quale, saputo del mio interesse per la fantascienza, mi propose di fare una tesi su questo stimolante argomento. In effetti non fu un ripiego ma un segno del destino.

Come si espresse la commissione e come andò la seduta di laurea?
La commissione fu entusiasta; la discussione, nel dicembre 2001, andò molto bene. Ho poi pubblicato la tesi in volume, molti anni dopo, con le edizioni scientifiche Ermes, di Ariccia, col titolo “La comunicazione nella fantascienza”.

Ti interessi di lingue artificiali e nello specifico dell’esperanto. Come mai? Oggi, a tuo parere, ha senso ancora parlare di esperanto?
Certamente, quanto ha senso ancora oggi parlare di grandi ideali. Il discorso sull’esperanto sarebbe molto lungo, ci vorrebbe un libro per rispondere in modo esaustivo alla tua domanda. Riguardo alla mia produzione in esperanto consiste nel libro di racconti “La lingvovendejo”, pubblicato nel 2016 dalla Federazione esperantista italiana, oltre che in vari articoli e racconti pubblicati in riviste di settore, in particolare su “Literatura Foiro” (la principale rivista letteraria in esperanto). Grazie all’esperanto parlo al mondo su una base neutrale, ho una platea di lettori potenziali in tutti i continenti (gli esperantisti sono circa due milioni), e soprattutto contribuisco alla vita di questo straordinario sogno di pace e fratellanza tra i popoli.

A tal proposito recentemente, con un racconto, hai vinto un Premio in Bulgaria…
Riguardo al “Premio Hristo Gorov-Hrima”, promosso dall’associazione esperantista bulgara, è stata una bella soddisfazione in quanto si tratta di un premio internazionale in cui ho rappresentato l’Italia, arrivando al primo posto con “Ke vi povu vivi en interesaj tempoj” (“Che tu possa vivere in tempi interessanti”).

Qual è il tema?
Si tratta della confessione di un uomo che, giunto novantenne al 2061, l’anno della cometa di Halley, ripercorre con la memoria gli eventi di uno straordinario passato. La maledizione cinese del “che tu possa vivere in tempi interessanti” non si è in fondo già realizzata in questo periodo?

Tra l’altro ti occupi di poesie e hai prodotto varie sillogi. Quanto è importante per te questo genere di linguaggio?
È più giusto dire mi occupavo, al passato, visto che non ne scrivo più: lascio la poesia ai veri poeti, per me si è trattato di un’attività minoritaria rispetto alla prosa, tanto che avrei difficoltà anche a dirti quali sono stati i miei riferimenti. Questi vanno ricercati più tra i parolieri (ma in alcuni casi il termine paroliere è riduttivo); grandi poeti quali gli scomparsi Valerio Negrini e Stefano D’Orazio alla cui opera ho dedicato un libro ancora inedito, col titolo provvisorio de “La poesia dei Pooh”. Ho comunque pubblicato quattro sillogi poetiche, tre in cartaceo – “Esagramma 41” (Faligi, 2013), “C’era una casa su in collina…” (Photocity, 2014), “25: antologia di un quarto di secolo” (Iskretiae, 2016) – e l’ebook, “Su di un vecchio dondolo” (Psychodream, 2016).

Passiamo alla narrativa di fantascienza. Hai dato alle stampe vari testi, qual è quello cui tieni maggiormente?
Non è facile rispondere: è come chiedere a un genitore qual è il suo figlio preferito. Potrei tuttavia dire che “La compagnia dei Viaggiatori del Tempo” (Abeditore 2017) è il mio libro più rappresentativo per quanto riguarda la fantascienza. Si tratta di una raccolta di racconti a tema, in una cornice letteraria, un po’ sul modello del “Decamerone”, dodici amici scrittori si riuniscono periodicamente in vari luoghi per raccontarsi storie sul tema del tempo, dell’immortalità, dell’utopia, mentre uno di loro, sorteggiato, li trascrive. Alle varie narrazioni si intrecciano le vicende private dei dodici narratori, formando una sorta di romanzo tra i racconti. Tra la narrativa di viaggio va menzionata anche la “Trilogia delle radici”, sul mio rapporto col territorio e col passato della mia famiglia.

“La straordinaria nevicata dell’85” è il tuo ultimo romanzo. Si tratta di una storia reale di ricordi?
E’ un romanzo di genere fantastico, anch’esso sul viaggio nel tempo La straordinaria nevicata dell’85(tematica che mi ha sempre affascinato), in cui emergono vari elementi autobiografici. L’anonimo protagonista sono io, ma gli altri personaggi e le vicende sono in buona parte inventati. È vero che conservo pochi ricordi della mia infanzia, e naturalmente quell’evento meteorologico straordinario è realmente accaduto. Io lo vedo un po’ anche come un romanzo storico: sono passati vari decenni dai mitici anni Ottanta e il mondo è andato avanti velocemente, rubando i sogni di quei tempi più sereni e ottimistici (o almeno così li vedevo io con i miei occhi infantili).

Come ti sei documentato sull’argomento?
Ho fatto un lavoro preparatorio di ricerca e documentazione, lungo tre anni, scorrendo i giornali dell’epoca in microfilm presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, oltre a leggere vari libri su quel decennio; abbondano infatti i riferimenti culturali, letterari e musicali. Il libro è rimasto poi inedito nel cassetto per diversi anni prima di essere pubblicato da Gli Elefanti edizioni, con cui mi sono trovato benissimo. Loro hanno fatto anche un book trailer molto professionale.

Ti occupi anche di saggistica. Cosa ti ha spinto a pubblicare “Il sognatore divergente”, per Porto Seguro, biografia dello scrittore di fantascienza Carlo Menzinger di Preussenthal?
Il sognatore divergente Con Carlo c’è un profondo rapporto di amicizia e stima reciproca (tanto che anche lui ha scritto la mia biografia, dopo che io avevo scritto la sua); dopo aver letto il primo volume della saga di “Via da Sparta”, edito da Porto Seguro (presso cui lavoro come editor) mi è venuta voglia di leggere altre cose sue, poi recensite, e quindi di proporgli un’intervista, come quella che mi stai facendo tu adesso ma molto più lunga. Infine, è nata l’idea del libro, “Il sognatore divergente” (chi conosce Carlo non faticherà a comprendere l’origine del titolo): per me un esperimento visto che non avevo mai scritto prima una biografia. Carlo è un grande scrittore del fantastico, merita un po’ di pubblicità.

Cosa emerge?
Dal testo è emersa la visione ucronica di Carlo, le sue teorie sul multiverso e sul sogno, troppo complesse per essere riassunte qui.

Un motivo in più, quindi, per leggere tutto ciò direttamente sulle pagine del volume!

Filippo Radogna

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