Nell’originale programma televisivo dai linguaggi alternativi Wonderland riguardante cinema, tv, fumetti, musica, tutti collegati con il mondo del fantastico, in onda su Rai 4, Mario Gazzola cura la rubrica Sound Invaders che parla di interazioni tra i mondi dell’arte partendo proprio da quella dei suoni.
E sì perché Gazzola è un affermato giornalista musicale con l’attitudine alla letteratura dell’immaginario tanto che nel 2019 con il saggio FantaRock, scritto con il noto collega Ernesto Assante, ha vinto il Premio della critica Ernesto Vegetti,
Scrittore, blogger, conduttore radiofonico, collaboratore di periodici e riviste nazionali, il Nostro è autore di romanzi e racconti di fantascienza pubblicati su riviste (prima tra tutte Robot) e in varie antologie. Per Weird Book a breve uscirà il suo primo racconto illustrato con disegni e grafica di Roberta Guardascione, mentre è in lavorazione un graphic novel, disegnato da Tommaso Bianchi, oltre ad un album rock di cover fantarock di Flavio Ferri and guests con un suo booklet.
E’ cofondatore del sito Posthuman con Walter L’Assainato ed è anche cofondatore (con i sopracitati Walter e Roberta) dell’agenzia di comunicazione LiquidSky Agency che si occupa di servizi di promozione video, web e social. E’ curatore su facebook di un ciclo di interviste nelle dirette streaming La finestra di Antonio Syxty.
Ti occupi di tante cose in ambito culturale, informativo e nella comunicazione. Ci vuoi parlare delle origini del tuo impegno intellettuale, in particolare nell’attività giornalistica? Da dove parte la tua passione per la musica? Nel tuo percorso hai anche suonato in qualche band?
La passione per la musica parte dalla Hit Parade di Lelio Luttazzi a Radio Rai, che sentivo al ritorno da scuola con mia mamma (facevo le elementari nei ’70) eppure no, purtroppo non ho mai imparato a suonare nemmeno il flauto alle medie! Chissà, forse ho sviluppato questa chiave di rappresentare la musica attraverso la scrittura proprio perché l’ho sempre osservata da ascoltatore puro che non la sa fare, come una forma di magia, come guardo oggi i disegni che Roberta Guardascione tira fuori dalle mie storie. Per questo sono molto fiero di riuscire a dare vita grazie a Flavio Ferri a un album di versioni reinterpretate di brani rock ispirati dal mondo sci/fi (dai King Crimson ai Killing Joke, dai Roxy Music ai Blondie ai Sonic Youth), legati da una storia scritta da me e illustrata dalle urban pics realizzate da Roberta rielaborando graficamente foto di prospettive metropolitane scattate da me nella Milano zombificata dalla pandemia. Finalmente avrò il mio nome su un bel vinile da collezione, anche se non so suonare e quando mi hanno convinto a “cantare” Rebel Rebel in un tributo a Bowie se ne sono subito pentiti! Però in realtà ho pensato che potevo scrivere di musica che ero già grandicello, dopo aver vinto il mio premio letterario con la tesi di laurea (alla Bocconi), poi pubblicata da Firenze Libri col titolo Rock – cultura, subcultura, controcultura (con prefazione del mio relatore Nando Dalla Chiesa). Prima illudevo i miei che da grande avrei fatto il manager aziendale…
Su quali testate giornalistiche hai mosso i primi passi? Di cosa scrivevi allora e di cosa ti occupi attualmente?
La prima è stata Discotec (intervista ai Clock DVA), poi Rockstar e Jam le più durature, ma ho collaborato per un po’ a Musica! di Repubblica (allora ho conosciuto Assante) e occasionalmente a Panorama, L’Espresso, Italia Oggi, il Manifesto, Mucchio Selvaggio e Rockerilla, ma ho anche avuto un mio programma a Radio Lodi e ho collaborato con Radio Popolare, Ciao Radio di Bologna e Radio Base di Caserta, prima di arrivare alla rubrica tv di Wonderland, che è un po’ il fantarock televisivo, essendo l’unico programma della tv nazionale dove il nostro genere preferito è di casa. Inoltre ho scritto di cinema pulp su Nocturno, curando anche un dossier sulla sci/fi cosmico-filosofica, per esempio, senza contare che il mio sito posthuman.it (online dal 2007) ospita le mie riflessioni su cinema, musica, letteratura, fumetti, teatro e tutto quel che attira la mia curiosità… postumana. Negli ultimi anni ho scritto su repubblica.it e più volte sul blog MediaTrek dell’amico/coautore Assante.
Quali tra i maggiori musicisti hai conosciuto personalmente? Ci vuoi raccontare qualche episodio? Tra i gruppi o i cantautori chi apprezzi maggiormente?
La seconda intervista l’ho fatta nientemeno che con… Ryuichi Sakamoto: io avrò avuto forse 28 anni e lui aveva già vinto un Oscar per la colonna sonora de L’Ultimo Imperatore! Poi ho incontrato il grande jazzista Herbie Hancock nel lussuoso hotel in Piazza della Repubblica dove stava a Milano per la presentazione del suo album tributo a Gershwyn, se ben ricordo… molto gioviale e ubriaco come un cavallo, mi offrì persino un calice di champagne, se gradivo, ma io sudavo già da sobrio solo ad affrontare una leggenda vivente della musica!
L’ultima per Jam è stata col grande Robert Wyatt, in sedia a rotelle da anni e grande intellettuale della musica senza etichette dai Soft Machine in poi… Ma forse quella cui sono più affezionato è quella col mio idolo Nick Cave nel ’92, allora era ancora temuto come un rabbioso divora-giornalisti: io mi presentai col traduttore italiano del suo primo romanzo faulkneriano E l’asina vide l’angelo e lui fu gentilissimo, fece persino il baciamano alla mia fidanzata di allora che mi accompagnava (e che rianimammo in seguito coi sali)!
Non ho mai potuto intervistare invece altri miei idoli, come David Bowie (che però ho visto in concerto 4 volte) e Tom Waits (che invece ho fotografato nel concerto di Firenze del ’99 promosso da Benigni), cantautori diversissimi ma entrambi legati a notevoli influenze letterarie (anche fanta).
Comunque, nel tempo ho sviluppato una passione onnivora assimilando generi molto diversi, dall’elettronica cerebrale dei Tuxedomonn all’heavy metal al jazz isterico di John Zorn o allo space rock più cosmico.
Come hai fatto interagire la scrittura creativa con la musica? E come si conciliano nei tuoi lavori le due cose?
A un certo punto ho smesso con le collaborazioni colle riviste (o almeno così credevo in quel momento). Ho pensato che se volevo scrivere, forse era meglio che cercassi di fare qualcosa di tutto mio, invece che limitarmi a dire la mia su quel che facevano Bowie, Waits, Cave & co. E per farlo la prima idea che ho avuto è stata quella di uno scenario metropolitano apocalittico, tra Gibson e 1997: Fuga da New York, perché quelle erano le atmosfere per le quali sentivo un’attrazione istintiva, forse perché… tanto dark punk?
Così è nato il mio primo romanzo, il “cyberpunk tarantiniano” Rave di Morte (Mursia, 2009), il cui protagonista è… guarda caso, un critico rock che hackera un’anteprima discografica che dovrebbe solo recensire! Io in verità non vedo come potrebbero non conciliarsi, le due cose. A parte che ognuno scrive meglio di ciò che conosce e ama (e io di scienza e tecnologia non capisco un tubo, su un’astronave non sono mai stato, né in tribunale come Carofiglio, cucino a livello di sussistenza e non so narrare ricette, ma un bel trip psichedelico…), il rock si è sempre presentato come la “musica del futuro” anche a chi non la capiva nel presente, si è nutrito di apocalissi, mostri, alieni, ricerca di dimensioni altre… è fantascienza allo stato puro, come si fa a non percepirlo? E avete notato quanti scrittori di science fiction abbiano inventato suoni, strumenti, musiche immaginarie, spesso preconizzando stili e correnti ancora di là da venire (del resto, sapete tutti che heavy metal era un “kid” di Burroughs no?).
Oltre a Rave di Morte hai scritto altro relativo alla fantascienza…
L’antologia Crepe nella Realtà – tre racconti ai confini dell’umana(mente), pubblicata in ebook proprio da Assante nel 2012 e da cui proviene la versione originale del Situation Tragedy attualmente in via di pubblicazione cartacea da Weird Book nella versione fantasticamente illustrata da Roberta. Poi c’è il noir teatral-carcerarionirico/horror Buio in Scena, finalista al Premio Laymon di Independent Legions ma alla fine tuttora inedito, quindi è arrivato il saggio FantaRock e poi l’antologia S.O.S. – Soniche Oblique Strategie (Arcana, 2019), che riporta il saggio alla narrativa, traendo racconti fantastici (by Arona, Assante, Cappi, De Matteo, Kremo, Salvatori e Marsico, l’unico musicista che ho convinto io a sperimentarsi come narratore) dai personaggi di un gioco di ruolo ideato da Brian Eno per indirizzare l’improvvisazione dei musicisti in studio per registrare l’album Outside di Bowie del ’95. Ovviamente nello studio del mio racconto (che apre, chiude e collega tutti gli altri 7) ne succedono cose “che voi umani”…!
Poi ci sono i racconti usciti sulle antologie: cito solo gli ultimi, il dickiano Voi Siete Morti, su Strane Visioni 2 (finalista premio Hypnos 2017), Barbari su I miei compagni di Viaggio a cura di Vanni Mongini (Scudo, 2020) e Hyde in Time, su La prima Frontiera a cura di Sandro Battisti (Kipple 2019), racconto pilota del mio nuovo romanzo intitolato proprio Hyde in Time, apocrifo de Lo strano caso del Dr Jekyll e del signor Hyde con due sequel successivi a firma della progenie stevensoniana, col quale spero di sorprendervi… non appena un editore se lo sarà aggiudicato!
Forse non è proprio hard science fiction, ma un Hyde che sbuca nel 2000 e uccide con l’identità di uno psicanalista che pensava che la sua paziente fosse affetta dalla “sindrome di Jekyll e Hyde” è già ben oltre l’omaggio al gotico vittoriano, no?
Citavi Fantarock, saggio scritto con il giornalista di Repubblica Ernesto Assante. Ci vuoi illustrare l’opera?
Come dice il titolo, è un saggio che documenta i collegamenti fra la musica rock e l’immaginario fantascientifico – cinema, letteratura, fumetti, poi anche videogiochi (L’Assainato) e serie tv (Aguidara) – dalle origini al 2018 (anno in cui è stato pubblicato da Arcana). E’ organizzato cronologicamente, ogni capitolo un decennio, con delle appendici monografiche dedicate a temi specifici ma troppo articolati per stare in un unico capitolo: i molti legami sci/fi di Bowie in 50 anni di carriera musical-cine-teatrale, Burroughs e la musica (Gramantieri), gli esperimenti sonori del visionario Joe Meek (Arona), i suoni del fanta, in celluloide e carta (Kremo), la prefazione di De Cataldo, la postfazione di Salvatores e i tanti contributi degli amici Vaccaro (hard, metal e industrial), Taormina (Beatles), Battisti (Pink Floyd), Buttaboni (prog), Peviani (Spacemen3) e Priulla (Blue Oyster Cult).
Secondo noi è un fantastico film di carta da leggere… col volume a palla! Dentro ce n’è per tutti, da Dylan ai Rockets alle versioni disco di Star Wars, da Gary Numan che parla di replicanti (Replicas) prima di Ridley Scott ai grandi concept album, dal magazine Metal Hurlant al film Heavy Metal al Metallo Urlante di Evangelisti, alle interviste con Serra (Nathan Never) e Chiaverotti (Morgan Lost), col fantasintetizzatorista Maurizio Marsico, il regista Mulcahy e la scrittrice Alda Teodorani, le cyberstar Sterling e Cadigan…
Da scrittore e da critico musicale cosa hai pensato quando nel 2016 fu assegnato il Premio Nobel per la letteratura a Bob Dylan? Ci furono molte polemiche, che idea ti sei fatto in merito?
Beh, felice per lui e che la Cultura Alta abbia finalmente riconosciuto tramite lui un genere musicale che aveva vissuto per anni nella riduttiva percezione di “canzonette per ragazzini (teppisti)”. Ci furono polemiche perché Dylan non è uno scrittore letterario “puro”, come anche Dario Fo, ma del resto io non capirò mai come l’Accademia faccia a dire se è meglio un cantautore americano, un teatrante italiano piuttosto che – per dire – un poeta ucraino o un romanziere ceco. Poi Dylan si è comportato in maniera un po’ sprezzante anche verso questo riconoscimento, mandando Patti Smith a ritirarlo per lui. Lei è un altro mio mito, ma sul gesto ammetto di mantenere qualche riserva… prometto che, se fra qualche anno lo dessero a me, io vado a ritirarlo e metto pure l’abito colle codine!
Il 3 luglio scorso sono stai celebrati i 50anni dalla morte di Jim Morrison, vorrei chiudere l’intervista con una tua breve riflessione sulla sua figura e su quello che rappresenta…
La sua figura oggi rappresenta quel che ha sempre rappresentato: uno dei caduti del mitico “club del 27” che, bruciando giovane invece di spegnersi naturalmente, ci ha privati di quel che avrebbe potuto fare (forse) maturando (come Jimi, Janis, Brian, Kurt e Amy), entrando però nel mito coi Rimbaud, Van Gogh….
E proprio in merito riportiamo un passo (che ha un’impronta “kinghiana”) del romanzo inedito “Buio in Scena”, scritto da Mario tra il 2015/2016, con l’auspicio di vederlo pubblicato quanto prima.
“(…) Parte un riff di organo e batteria in levare. Lo conosco, lo sento scorrere dentro di me. “You know the day destroys the night / Night divides the day…” è… la canzone dei Doors! Finalmente sono vicino al palco, vedo che è veramente Jim Morrison che canta, occhi chiusi mani strette intorno al microfono. È pazzesco. Ma è un sogno, va bene così. Non è neanche quello giusto, però mi piace. Vicino a lui c’è un nero che suona la chitarra da mancino, camicia colorata e cappello in testa. Jimi Hendrix? Che ci fa Hendrix a un concerto dei Doors? Cos’è, un concerto… di morti? Anche Morrison non dovrebbe essere qui a cantare in pantaloni di pelle, cinturone e torso nudo. Mi invade una vaga sensazione di disagio (…)”.
Filippo Radogna