Non so se l’indifferenza e talora il disprezzo per la fantascienza di certa gente dipendano solo da una scarsa o errata, deviante conoscenza che si ha dell’argomento. O – non è raro – da un atteggiamento sospettoso verso la scienza in genere. Anche da “intellettuali” che peraltro non rifiutano la lettura di un buon “giallo”, o di un altro “genere”. Eppure la fantascienza è una narrativa che senza alcun dubbio presenta, sia tematicamente sia stilisticamente, un altissimo numero di possibilità espressive. Considero questa narrativa una scansione a 360 gradi del “reale”, e se per il mainstream il mondo percepibile è l’unico esplorabile, la fantascienza ha modo di scrivere sul presente, sul futuro, sul passato, su questo universo, su come potrebbero essere altri universi, sulla terza dimensione, sulla quarta e forse altro. Naturalmente al centro c’è sempre l’Uomo: “l’unico soggetto che possa essere letterariamente raccontato”, come scriveva Lino Aldani. Perché indubbiamente la science fiction ci racconta di noi stessi, ma da punti di vista che altre letterature non possiedono: permette di “vedere oltre”. E mi sorge un dubbio: che il maistream, (l’establishment culturale, si diceva fino a qualche anno fa) abbia intuito, magari inconsapevolmente, con chi debba confrontarsi quando si parla di fantascienza.
Ecco: è questa ampiezza praticamente senza limiti, di temi e di pensiero, la prima ragione per cui – come lettore, come autore – amo tanto la fantascienza.
Che io sappia, l’unica volta che la science fiction ha avuto a che fare con la legge e le forze dell’ordine è stato nel 1944, negli Usa. L’Fbi fece irruzione nella redazione del noto periodico “Astounding”: agenti del controspionaggio indagavano come mai un racconto apparso sulla rivista intitolato Deadline, di Cleve Cartmill, contenesse così precisi riferimenti alla costruzione della “bomba”, che in quei giorni era in cantiere (il famigerato Progetto Manhattan). Il direttore della rivista, John W. Campbell, rispose con la verità: il racconto rielaborava, con fantasia, dati tecnici di dominio pubblico fin dal 1940.
In effetti ho sperimentato – come lettore e autore – che la fantascienza ha la… soprannaturale capacità di accogliere anche roba che altri potrebbero rifiutare. Come lettore ne ebbi prova leggendo, negli anni ’60/70, storie – peraltro notevoli, scritte da autori e autrici ben noti – di un erotismo che nel mainstream avrebbe prodotto certamente polemiche (in quei tempi “democristiani” la gente era molto, molto più bigotta). Come autore nel 2003, allorché Vittorio Curtoni volle pubblicarmi su “Robot” un racconto di una violenza splatter davvero estrema: giunse solo la protesta di 1(uno) lettore. Un mio “Urania” edito da Mondadori, cioé da Berlusconi, conteneva ideologia, idee e situazioni che, se lette dal (oggi ex) Cav., avrebbero mandato il volume al rogo. (E comunque certe persone non leggono mai libri). Ecco una seconda importantissima caratteristica che mi fa tanto cara questa letteratura: una certa invisibilità. Sottovalutata, trascurata? Diventa quasi un pregio, permettendo alla sua versatilità di esprimersi felicemente in ogni sfaccettatura.
Una persona che non dimenticherò mai è una mia maestra delle elementari. Durante una lezione, ci disse che mai un razzo sarebbe potuto andare sulla Luna, perché nello spazio non c’è l’aria, che sostiene gli aerei. A favore di questa modesta insegnante in un dopoguerra brindisino che ricordo catastrofico e pieno di macerie, dirò che anni dopo seppi di eminenti scienziati che avevano asserito la stessa cosa. Ad ogni modo, fu Asimov che mi aprì gli occhi sull’argomento, tramite una sua storia letta in uno dei primissimi “Urania”. Tutto ciò ora può apparire banale, ma per me non lo fu. Perché – mi sono poi reso conto – la mia non “severa maestra” ma bonaria e affascinante, è stata non la scuola bensì la fantascienza. Questa narrativa mi “prese” subito, e non solo mi fece sognare: mi spinse ad ampliare il mio modestissimo orizzonte scientifico e culturale, stimolando in modo impellente le mie curiosità. Nel dopoguerra non era facile trovare libri di divulgazione scientifica, anzi neanche esistevano. Se cercavo dettagli su un qualcosa letto in un libro, dovevo sperare di incontrare un Urania successivo dove, per fortuna, ci fosse un altro racconto ad hoc. In quelle pagine familiarizzai con concetti e nomi esoticissimi quali: iperspazio, nane bianche, nova, relatività, Anelli di Saturno, velocità della luce, orbita, forza gravitazionale, Nebulosa di Andromeda, Rigel, Betelgeuse, Antares, la Stella Fuggiasca, stella doppia, Nube Testa di Cavallo, e mille altri. Fu l’avvio d’un percorso che che dura tuttora.
Immagino sia un buon terzo motivo per amare la fantascienza.
La science fiction è un genere letterario “vivo”. Più degli altri, direi: nel corso di alcuni decenni è mutata (o se preferite si è evoluta) più volte, talora in modo radicale. Dagli orizzonti ottimisti dell’Età d’Oro negli anni ’20/30 alla visione critica del dopoguerra, poi la social science fiction, che estese il campo alle scienze soft. Nei ’60/70 assorbì istanze e tematiche sessantottine, favorendo anche sperimentalismi della New Wave. Ai primi anni ’80 intravide effetti delle imminenti tecnologie telematiche, e nacque la sua potente versione Cyberpunk. Smaltita l’ubriacatura cyber, attualmente la fantascienza ristagna: giusto in linea con il mondo, di cui è l’inevitabile riflesso. Ma questo talora tumultuoso percorso ha giocato a suo favore: si è arricchita d’una enormità di temi e concetti. Non solo viaggi nel tempo o su Marte o guerre stellari, ma anche – direi – tutto il resto, fino alla “vita quotidiana”. Una evoluzione fascinosa che apre ancora orizzonti culturali anche per chi scrive: affrontare temi nuovi, o comunque diversi dai precedenti, ogni volta. Evitare di “copiarsi”. Perché i temi sono infiniti…
Ecco: un quarto, ottimo motivo.
Un quinto argomento c’è, e sebbene appendice o derivato di quanto già scritto, ritengo sia da sé di notevole importanza. I bambini, i ragazzi, amano la fantascienza, anche quando non sanno come si chiama. Conoscono quella televisiva, che è tutt’altra cosa di quella scritta. E comunque una quindicennale esperienza nelle scuole medie (1994-2009) mi ha insegnato che i ragazzi amano inventare storielle fantascientifiche, scriverle nei loro concorsi scolastici a tema libero. Non ne nascono semplici favolette: sono spesso sorprendentemente ricche di spirito, inventiva, avventura, contenuti. La fantascienza, come letteratura giovanile, negli Usa ha avuto collane dedicate ai più giovani, i famosi “juveniles”, con firme quali Asimov, Silverberg, Heinlein e altri. Un “genere” che possiede anche potenzialità educative e culturali notevolissime, senza cadere in buonismi o forzature didascaliche. Le meraviglie delle scienza e la opportunità di un loro uso equilibrato, il rapporto con l’“altro”, lo stimolo ad ampliare conoscenze d’ogni tipo, la necessità della lettura, la consapevolezza della “piccolezza” dell’Uomo, il dover essere “uniti” in quanto unica specie, la difesa dell’ambiente. Una tensione verso un “oltre”, che magari si scopre irraggiungibile… Di questi temi basilari, e tanti altri, buona parte della fantascienza è sempre stata interprete: meriterebbe d’essere materia d’insegnamento. Ci sono stati e ci sono tentativi, ma non è affatto facile.
Un buon quinto motivo? Di più: un auspicio.
Vittorio Catani