“Sono nato nel 1939. Ricordo che dopo la guerra nelle edicole apparvero le splendide ristampe Nerbini, in albi di grande formato, dei mitici personaggi degli anni d’oro del fumetto made in Usa, erano Phantom, Mandrake, Cino e Franco e Flash Gordon. Li guardai e li lessi con entusiasmo. Il mio preferito era Flash Gordon!”.
E’ Piero Giorgi che parla. Tra i fantascientisti italiani della prima ora, autore di una poderosa monografia dedicata al grande scrittore americano Jack Williamson (1908-2006); Piero è stato, nei primi anni ’70, il fondatore della storica fanzine Kronos. Possessore di un’importante collezione di fantascienza e di fumetti, dottore commercialista (è un laureato della prestigiosa Università Ca’ Foscari di Venezia’), vive a Preganziol in provincia di Treviso. E’ anche appassionato di zoologia e con la sua dolce metà possiede cinque gatti “ma siamo arrivati -aggiunge- ad averne anche undici”. In ambito calcistico tifa per il Torino.
Quindi, sin da bambino, sei stato un appassionato di fantascienza?
Fin dall’inizio ho regolarmente partecipato alle convention di sf a Ferrara, nelle quali gli appassionati di fantascienza erano una moltitudine. A quel tempo c’erano le prime fanzine di sf, stampate col ciclostile, la cui resa grafica era molto scadente (ma il ciclostile era l’aggeggio più economico). Così, quando decisi di pubblicare anch’io una fanzine, Kronos, optai subito per la stampa tipografica. E mi capitò un colpo di fortuna: la tipografia alla quale mi ero rivolto stava passando a metodi di stampa più moderni, e aveva una voluminosa macchina da scrivere statunitense per la composizione che usava nastro di plastica e che giustificava a destra. La comprai, e con quella, la sera, battevo sui tasti per comporre le pagine cartacee di Kronos, che poi la tipografia trasferiva su matrici di alluminio, dalle quali infine uscivano le perfette pagine stampate, che erano in formato A4.
Come e con chi la realizzavi? E per quanti anni l’hai tenuta in piedi?
Ero io che tenevo i contatti con i vari collaboratori, che selezionavo il materiale, e che lo trasferivo sulla carta. Quindi, la realizzavo da solo. Kronos era trimestrale, almeno nelle intenzioni, e il primo numero, con la copertina patinata bianca, è datato dicembre 1973. Per alcuni numeri la periodicità trimestrale è stata mantenuta, poi si è allungata. I primi quindici numeri erano nel formato A4, l’ultimo, il 16, datato dicembre 1980, era nel formato metà di A4, per cui con un numero doppio di pagine rispetto ai precedenti.
Quali rubriche erano presenti?
Kronos presentava narrativa, saggistica, recensioni di libri e di film di fantascienza, risposte alle lettere che mi arrivavano, e, come inserto a puntate, una storia del film di fantascienza. Nei suoi 16 numeri sono stati pubblicati 52 racconti di 27 diversi autori. Dei vari collaboratori, alcuni sono oggi molto noti come scrittori, e altri operano nel campo dell’editoria. Sono entrato in contatto anche con scrittori francesi, e di uno di questi, Jean-Pierre Moumon, recentemente scomparso, ho pubblicato su Kronos, in diverse puntate, un lungo saggio sul tema delle Arche Stellari . Una successiva e ampliata versione del saggio fu poi pubblicata sulla nota rivista francese Fiction.
Con quale dei grandi della sf italiana ed estera hai avuto maggiori rapporti?
All’inizio degli Anni ’70 i miei autori preferiti erano Jack Williamson, Clifford Donald Simak e Philip José Farmer. Pensavo di scrivere un lungo saggio su ognuno dei tre. Poi, però, lasciai perdere Farmer, e mi concentrai su Williamson e Farmer. Cominciai quindi a leggere tutti i loro racconti e i loro romanzi. Ma quando, finite le letture, cominciai a battere sui tasti della mia Olivetti lettera 22, diedi la precedenza a Jack Williamson, senza sapere quante pagine avrei riempito: ma sicuramente qualche centinaio. Ricominciai a rileggere tutti i suoi racconti e i romanzi, questa volta in ordine cronologico di pubblicazione originaria, in modo da comprendere meglio l’evolversi del suo stile narrativo e delle sue tematiche. Entrai anche in contatto epistolare con lui, che a quel tempo insegnava letterature inglese presso la Eastern University di Portales, New Mexico.
Su Williamson lavorai per più di dieci anni, e alla fine ne venne fuori un volumone cartonato.
Stai parlando del poderoso saggio dal titolo Jack Williamson: una vita per la fantascienza edito da Kronos pubblicato nel 1989…
…sì, un lavoro di mille pagine, contenente, oltre al testo, cento illustrazioni di copertina di libri e riviste di sf dedicate alle sue storie. La sovracopertina a colori del volume, e tre illustrazioni interne in bianco e nero a piena pagina, furono da me appositamente commissionate a Festino.
Quale idea hai della sf odierna?
Come ho detto prima, ho partecipato a tutte le convention negli anni in cui si sono svolte a Ferrara, poi, gradualmente, ho smesso di prendervi parte. Come appassionato di fantascienza fin da quando è arrivata in Italia, sono visceralmente legato ai vecchi autori Usa, come Anderson, Asimov, Hamilton, Heinlein, Sturgeon, van Vogt, Wyndham, tanto per fare alcuni nomi, più, ovviamente, i già precisati Farmer, Simak e Williamson. Insomma, mi piace la fantascienza avventurosa, anche se mi è piaciuta molto la social science fiction pubblicata su Galaxy. La fantascienza odierna è più matura, ma non ti dà il fascinoso sense of wonder di quella degli anni ’30 e ’40.
Ma scrivi ancora di fantascienza?
Al momento sto selezionando racconti inediti di fantascienza, di autori italiani, per un’antologia avente per tema “Venezia”, e sto scrivendo un libro su H.G. Wells. Inoltre, su Dimensione Cosmica saranno pubblicati quattro miei articoli per commemorare i settant’anni della fantascienza in Italia.
Attendiamo pertanto l’uscita dei tuoi prossimi lavori per poterti ospitare nuovamente sulle nostre pagine!
Filippo Radogna