Sta ultimando la correzione delle bozze del suo ultimo volume di saggistica dedicato a streghe, malefici e magia popolare, che sarà pubblicato nella prossima primavera. La ricca vena di saggista e narratore di Eraldo Baldini deriva da quel mondo della provincia rurale romagnola al quale egli appartiene. Nato a Russi, comune del Ravennate, vive a Porto Fuori (Ravenna). Classe 1952, laureato in antropologia, i suoi libri sono stati pubblicati dalle maggiori case editrici italiane tra cui Frassinelli, Sperling & Kupfer, Einaudi, Rizzoli. Dal suo noir “Mal’aria” (edito nel 1998 da Frassinelli e vincitore del Premio Fregene), ambientato proprio nella provincia di Ravenna durante i primi anni del fascismo, è stato tratto lo sceneggiato televisivo omonimo trasmesso in due puntate su Rai 1 nel 2009.
Ciao Eraldo e grazie per aver accettato di rispondere alle nostre domande. Sei uno studioso di antropologia culturale e hai approfondito quello che riguarda la memoria, le leggende e le usanze della vecchia civiltà rurale della tua terra. Come mai questa propensione e cosa ti ha affascinato di questo mondo?
Sono nato nel ‘52 nella campagna ravennate, in una famiglia di piccoli commercianti di bestiame, quindi intimamente legata al contesto contadino. Allora il mondo della campagna e della provincia era fortemente rurale e la cultura popolare era ancora diffusa, anche se cominciava a cedere velocemente il passo, dopo la ricostruzione conseguente alla Seconda guerra mondiale, a segni forti di cambiamento, di modernizzazione, di abbandono di quelli che erano stati stili di vita, mentalità e ritmi secolari. Insomma, si era in momento (che trovò il suo acme negli anni Sessanta) di trasformazione profonda, in cui coesistevano un mondo antico di cui erano continuatori e depositari soprattutto gli anziani, e un mondo nuovo che si profilava e si imponeva.
Era una società nella quale prevaleva ancora una cultura tradizionale…
La mia generazione è cresciuta a cavallo di due epoche, dunque, ed è stata forse l’ultima a poter vivere, ascoltare, sperimentare i respiri di una cultura tradizionale ancora presente. Una cultura che per molti aspetti mi affascinava: le fiabe, le leggende, le superstizioni, le tradizioni, le ritualità, l’immaginario popolare che prevedeva un diffuso alone di fantastico, di magico, di soprannaturale. Crescendo ho visto quella cultura impoverirsi sempre più, ma io ho cercato di studiarla, di raccoglierne le testimonianze e poi di raccontarla sia in modo narrativo, sia con pubblicazioni saggistiche. Quell’interesse mi ha spinto prima verso studi di antropologia culturale, poi verso i contenuti e gli stilemi della mia scrittura.
Una peculiarità della civiltà contadina è stata la tradizione orale. C’è qualcuno che ti ha trasmesso la voglia di raccontare?
In molti l’hanno fatto, a partire dai miei nonni paterni, che vivevano in casa con me, dagli anziani del mio paese in genere, per arrivare ad alcuni personaggi che fungevano da memoria storica della comunità e ancora, nelle veglie invernali che si tenevano nelle case (fino a prima della guerra si erano tenute nelle stalle), sapevano affascinare l’uditorio raccontando leggende e fiabe.
Qual è stato il percorso che ti portato al processo di scrittura e all’elaborazione del cosiddetto “gotico rurale”?
Raccogliendo ed esaminando i materiali relativi alla cultura popolare e sommandoli ai ricordi del mio vissuto e delle tante, fascinose (e a volta da brividi), narrazioni orali che avevo ascoltato, ho capito che quei materiali e quelle suggestioni avevano una forte valenza da tradurre in narrativa, perché il mondo fantastico della mia gente non aveva nulla da invidiare a quello che già si era trasformato in racconti e romanzi, ad esempio, nel mondo anglosassone. Così ho cominciato fin dal 1987 a scrivere, accanto a saggi sull’argomento, anche pagine di narrativa, e a partire dagli anni Novanta queste sono diventate pubblicazioni per i maggiori editori nazionali e internazionali. Per la mia cifra narrativa, usando il titolo di una mia raccolta di racconti, è stata coniata l’espressione “gotico rurale”, che è quasi assurta a dignità di genere.
Quindi per te l’ambiente ha un’importanza basilare nelle storie che scrivi…
Assolutamente sì: ogni storia, anche d’immaginazione, avviene in un luogo, reale o fittizio che sia, e quel luogo e quell’ambiente condizionano e caratterizzano la storia stessa, il suo climax, i suoi protagonisti. Nel mio caso, l’ambientazione è spesso quella delle campagne e dei luoghi selvaggi (boschi, paludi, ecc.) della mia terra, visti anche attraverso la lente della storia e dell’immaginario popolare.
E oggi, com’è cambiato questo mondo e come è cambiata la maniera di raccontarlo?
Quel mondo si è profondamente trasformato e si è in parte omogeneizzato a forme che la globalizzazione ha reso più o meno standardizzate. Ma le radici restano e il passato, come un fiume carsico, spesso riemerge condizionando anche il modo di essere del presente.
Scrivi sia di narrativa sia di saggistica, per quale tra le due hai maggiore propensione?
Nel mio caso, produzione saggistica e produzione narrativa (non posso esprimere una predilezione per l’una o per l’altra, in fondo sono facce della stessa medaglia) risultano molto legate: dalla prima traggo ispirazione ed elementi per la seconda, che a sua volta stimola nuove suggestioni e nuove ricerche e approfondimenti per la prima!
A questo punto la curiosità sul prossimo volume del maestro Baldini è tanta, ma dovremo pazientare ancora un po’. La primavera pian piano si avvicina!
Filippo Radogna