Di ragioni ce ne sarebbero tante altre, come ad esempio i rimandi alla mitologia greca o alla fantasy di tipo Tolkieniano (è noto che Lucas sognva di poter portare lui stesso sullo schermo “Il Signore degli Anelli“). Ma io provo a fornirvi le mie cinque ragioni personali per amare Guerre Stellari, magari un pò inconsuete ma altrettanto valide. E che riguardano gli aspetti più propriamente fantascientifici della saga.
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TRANTOR – Chiunque ami la fantascienza non può non essere rimasto affascinato dalla trilogia della Fondazione di Asimov. Nella seconda trilogia di SW, c’è una perfetta realizzazione visuale di ciò che i lettori hanno sempre immaginato e che nessun illustratore era stato capace di farci vedere in maniera compiuta: una capitale galattica formata da un pianeta completamente ricoperto di edifici. Memorabili le scene ambientate nel parlamento galattico, che per me valgono da sole il film. Ovviamente, viene subito in mente Trantor, il pianeta capitale dell’Impero Galattico, inventato da Isaac Asimov: praticamente una Manhattan estesa alle dimensioni di un intero mondo. Chapeau.
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ARRAKIS – Lo stesso Frank Herbert aveva riconosciuto almeno una dozzina di punti di contatto tra il suo ciclo di romanzi sul pianeta Dune e SW. Pare che il motivo principale sia stato l’amore che George Lucas portava a quelle opere, tanto da chiedere insistentemente ai produttori di poterne realizzare lui stesso la versione cinematografica. I produttori però non si fidarono perché Lucas era un giovane regista alle prime armi, che aveva realizzato “soltanto” “American Graffiti” (probabilmente si mordono ancora le mani per l’errore). Il film fu affidato prima a Jodorowski e poi a David Lynch ed è andata a finire come sappiamo. Lucas si è “vendicato” di quel rifiuto inserendo molti elementi di Dune nei suoi film, ideando il pianeta Tatooine (nome che ha una sospetta assonanza con “Dune”) e popolandolo di elementi che includono: un mondo che è un solo grande deserto di sabbia, vermi delle sabbie (di varie forme e dimensioni), predoni del deserto con tanto di tute distillanti, fattorie con trappole a vento sepolte nel sottosuolo, duelli all’arma bianca (anche se con spade laser e non con vibrolame) eccetera. C’è persino un perfido grassone, uno dei più cattivi villain dello schermo: solo che non si chiama Barone Harkonnen ma Jabba the Hutt. Se vi è piaciuto Dune (e siete in buona compagnia: oltre 10 milioni di lettori nel mondo…) non potete non amare alcune scene di SW.
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LIANNA DI FOMALHAUT – Probabilmente avrete notato che la principessa Padme, la madre di Leia Organa, assomiglia tanto all’eroina de “I sovrani delle stelle” di Edmond Hamilton. Lianna ha un ministro che si chiama Korkhann, un alieno appartenente a una razza che si è evoluta dagli uccelli e pertanto ha aspetto umanoide ma è dotato di becco e piume. Anche Padme ha un suo ministro per gli affari alieni, Jar Jar Binks: è un anfibio, non un uccello, ma è dotato di un vistoso becco. Se amate la fantascienza classica e le grandi space operas del passato, ovviamente amate Edmond Hamilton. In questi due personaggi potete trovare dei rimandi precisi al suo universo creativo. E la Morte Nera, dove la mettiamo? L’idea di un’arma capace di distruggere un mondo è stata usata in varie epoche e da vari autori, come John W. Campbell jr. e E. E. Smith, ma ne caso di Hamilton è un vero e proprio marchio di fabbrica. Non a caso lo chiamavano “world smasher Hamilton”, vale a dire “lo sfasciamondi”. Dunque, di nuovo, non potete che amare SW.
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BROKEDOWN ENGINE BLUES – La fantascienza umoristica ci ha abituato a robot pasticcioni e petulanti, come quelli costruiti dal professor Gallegher, il supergenio descrittoci da Henry Kuttner, che inventa e realizza robot solo quando è completamente ubriaco. Per non perdermi in un lungo e inutile elenco, tralascio di ricordare i robot di Harry Harrison, Fritz Leiber, Gordon Dickson e così via, ma non posso non nominare Robert Sheckley e i suoi combina guai meccanici, presenti in tanti suoi racconti, come quelli della A.A.A. Asso Decontaminazioni Interplanetarie. Il migliore allievo di Sheckley in questo particolare campo è stato certamente Ron Goulart, che di robot imbranati, capricciosi o perfidi (decisamente poco asimoviani) ce ne ha descritti tanti. La sua filosofia è contenuta in un famoso blues, che ha dato il titolo a una sua antologia, “Brokedown Engine”: i motori si guastano – e così i robot. Ogni volta che osservo R2D2 e C3PO mi vengono in mente i racconti di Sheckley e Goulart. Se succede anche a voi, avete un altro buon motivo per amare SW.
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LENSMEN – Gli uomini-lente ideati da E. E. Smith hanno più di un punto di contatto con i cavalieri Jedi. Lottano contro un male antico e potente (i Sith, servitori del lato oscuro della Forza in SW, i super-alieni di Eddore in Smith) e si servono di poteri parapsicologici che li rendono quasi dei semidei (grazie all’addestramento Jedi in SW, grazie alle lenti del potere che i Lensmen portano al polso in Smith). Entrambi cercano di trarre ordine dal caos dell’universo conosciuto. Tutto l’armamentario tecnologico descritto da Lucas nei suoi film (astronavi grandi come pianeti, armi che distruggono le stelle, tunnel spaziali, eserciti di cloni e di robot, eccetera) era già presente nei romanzi di Edward Elmer “doc” Smith. Se vi piace l’avventura spaziale barocca e straripante di Smith, non potete non amare quella di SW, che le somiglia così tanto.
Potrei continuare ancora un po’ questo elenco: avete notato, per esempio, la somiglianza tra gli Ewoks di SW e il Piccolo Popolo descritto da H. Beam Piper in “The little fuzzy” e “Fuzzy sapiens?”. Ma mi fermo qui. Credo di avervi dato l’idea di quel che intendo: se avete amato la buona fantascienza avventurosa, non potete non amare Star Wars.
Franco Piccinini