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Dalle Astronavi a Zagor. Roberto Azzara si racconta

Roberto AzzaraUna delle cose più interessanti delle convention è incontrarsi, scambiarsi opinioni, salutare i vecchi amici e fare nuove conoscenze. A Pavia nello scorso maggio si è tenuta l’Assemblea della World Science Fiction Italia e la fase conclusiva del Premio di fantascienza “Ernesto Vegetti”. C’è anche stata la presentazione, nella bellissima location del Castello Visconteo, del romanzo di space science fiction scritto Umberto Guidoni e Donato Altomare “Wormhole”. Nell’occasione ho avuto modo di incontrare Roberto Azzara che avevo visto e ascoltato in uno dei sempre interessanti e divertenti appuntamenti in rete “Pillole dal futuro” condotti dall’affabile Marina Perrotta. Roberto è nato a Caltagirone (Catania) nel 1970, dopo la maturità tecnica agraria ha proseguito gli studi in campo infermieristico. Vive a Pavia da oltre trent’anni città dove ha messo su famiglia e svolge la delicata professione infermiere di area critica. Nella conversazione che segue siamo partiti dal suo ultimo saggio di fantascienza spaziale per analizzare in breve tutto quanto egli ha realizzato nei suoi testi.

Il tuo ultimo libro, “Astronavi. Le storie dei vascelli spaziali nella narrativa e nel cinema di fantascienza” (Odoya 2022), scritto con Michele Tetro, narra delle astronavi più celebri della fantascienza. Come mai un libro sulle astronavi?
“Astronavi” nasce come una sorta di spin-off di “Spazio, il vuoto Astronavi davanti”, libro del solo Michele Tetro, sempre edito da Odoya, nel quale il mio socio esaminava il rapporto dell’umanità con le distese cosmiche, sia in ambito storico e scientifico che nell’immaginario della narrativa, del cinema e di ogni altra forma d’arte. Io collaborai con un capitolo dedicato alla saga di Star Trek, nel quale passavo in rassegna le varie Enterprise alternatesi in televisione e al cinema. Anche Michele aveva preparato dei paragrafi riguardanti alcune astronavi tra le più famose della fantascienza cinematografica che per motivi di spazio tagliò. Ci sembrava un peccato sprecare del materiale che già di per sé costituiva un piccolo saggio, arrivò così l’idea di espandere ciò che avevamo già scritto includendo altre astronavi provenienti dal mondo del cinema e della televisione.

Ne esistevano già in Italia libri simili?
A parte volumi monotematici riguardanti, ad esempio, le astronavi delle saghe di Guerre stellari o di Star Trek, nella nostra ricerca bibliografica non abbiamo trovato altro che parlasse generalmente delle astronavi più famose della fantascienza, perlomeno non in Italia, dove credo sia, almeno per ora, un’opera unica.

Quali sono i contenuti?
Strutturalmente “Astronavi” è composto da tre sezioni. La prima parte, “Una, cento mille navi stellari” curata da Michele, esamina la storia del volo spaziale, sia nella realtà che nella letteratura. La seconda, “Astronavi nell’infinito”, è composta da schede che raccontano le astronavi più iconiche e celebri del cinema e della televisione attraverso un’analisi della loro storia creativa, del contesto narrativo dove appaiono e alcune nostre considerazioni. La terza e ultima parte, a mia cura, parla invece dell’astronave più piccola possibile, letteralmente cucita addosso all’astronauta: la tuta spaziale.
Il volume si chiude con un’intervista al grafico Roberto Baldassarri, le cui tavole riguardanti la Base Alpha e le Aquile impreziosiscono la sezione dedicata alla storica serie TV Spazio 1999.

Sempre con Tetro, con la collaborazione di Roberto Chiavini e del compianto Stefano Di Marino, in precedenza avete realizzato la “Guida al cinema Horror. Dalle origini agli anni Settanta” (vincitore del Premio Vegetti 2022 nella sezione miglior saggio sul fantastico) attraverso i film più famosi. Ce la puoi illustrare?
Limitandomi al periodo trattato nel volume, si comincia citando i maestri dell’espressionismo che, ancora prima che nascesse l’idea stessa di cinema horror (arrivata negli anni Trenta con i film di mostri della Universal), seppero rappresentare i concetti del perturbante, del macabro e dell’angosciante in pellicole rimaste pietre miliari della storia del cinema.

A proposito di storia del cinema quali sono, a tuo parere, i film e i registi stranieri o italiani più originali e che hanno lasciato un segno in questo genere?
Tra i registi che secondo me hanno lasciato una traccia indelebile nello sviluppo del cinema horror non posso non citare l’inquieto Tod Browning, il raffinato James Whale, il figlio d’arte Jacques Tourneur, l’eclettico Robert Wise, l’alfiere della Hammer Terence Fisher e il nostro Mario Bava.
In particolare vorrei ricordare non un regista ma un produttore, Val Lewton il “poeta delle ombre”, che negli anni Quaranta realizzò una serie di horror psicologici per la RKO pregni di suspense generata da magistrali giochi di ombre e che trattavano del primordiale terrore dell’uomo verso ciò che non comprende.

E secondo te, quali sono i personaggi più inquietanti?
Dalla mia risposta al quesito precedente, si può intuire che nei film horror prediligo l’atmosfera piuttosto che il “mostro” in sé. Ciononostante ci sono alcune “maschere” che hanno saputo toccare le giuste corde e suscitare inquietudine, come l’attore tedesco Conrad Veidt e i suoi personaggi disturbati o il britannico Boris Karloff, anche al di là dei suoi Frankenstein o mummie egizie redivive.

I due volti del terrore Invece cosa avete analizzato nel testo “I due volti del terrore. La narrativa horror sul grande schermo”?
In “I due volti del terrore” io e Michele, con l’aiuto di alcuni collaboratori esterni, abbiamo esaminato circa trecentoquaranta film mettendoli a confronto con le opere letterarie di origine; il titolo si riferisce proprio a questo, ai due volti (del terrore) di una stessa storia, quello letterario e quello cinematografico.

Giungendo all’attualità, qual è il tuo giudizio sui film horror di questi anni?
Sono un appassionato dell’horror della prima ora, quello delle origini, per questo ho trovato particolarmente stimolante e appagante scrivere con Michele la “Guida al cinema horror” che arrivava a trattare fino agli anni Settanta. Preferisco gli horror di “atmosfera” nei quali la suspense prevale sullo spavento facile, lo jumpscare o sul raccapriccio di immagini esplicite, che considero una deriva quasi pornografica dell’horror. Con questo, non dico che il genere non abbia prodotto anche oggi opere stimolanti. Mi riferisco, principalmente, ai film di Jordan Peele, che virano molto nella fantascienza, o le visionarie opere di Robert Eggers, mentre trovo poco convincenti le pellicole del pur tecnicamente ineccepibile Ari Aster.

Passiamo alla fantascienza. Nel volume “La fantascienza La fantascienza cinematografica - La seconda età dell’oro cinematografica – La seconda età dell’oro” parli di un periodo abbastanza fecondo, ossia quello compreso tra la fine degli anni Settanta e tutti gli Ottanta. Che paragoni ci sono con la sf cinematografica della prima età?
Diciamo che una è diretta derivazione dell’altra, come è naturale che sia. Il legame più evidente è che gli autori degli anni Ottanta sono cresciuti con i film di fantascienza degli anni Cinquanta e non mancano di ricordarcelo nelle loro opere. Fra i più importanti, Spielberg, ha omaggiato i film di fantascienza degli anni Cinquanta ogni qualvolta ha potuto, come hanno fatto pure Joe Dante e John Carpenter, giusto per citarne alcuni.

E la fantascienza filmica di questi anni come la consideri?
La fantascienza odierna? Per me è valido lo stesso discorso fatto per l’horror. Pochi film hanno catturato il mio interesse, soprattutto Sopravvissuto – The Martian di Ridley Scott, perché ha mostrato cosa significa per l’uomo trovarsi in un mondo alieno con un grado di realismo sopra la media, ovviamente con qualche concessione allo spettacolo, Interessanti anche Moon di Duncan Jones, Arrival di Villeneuve e Nope di Jordan Peele, degni della migliore fantascienza del passato. In qualche modo apprezzo anche le opere di Nolan, dei puzzle-film che però guardati una volta non ho voglia di rivedere (a parte The Prestige, ma lì oltre al tema fantascientifico c’è anche quello dell’illusionismo, che mi intriga parecchio).

Oltre ai quattro saggi sopracitati, hai realizzato varie collaborazioni partecipando a pubblicazioni di amici e colleghi…
Del mio contributo per “Spazio, il vuoto davanti” di Michele Tetro, ho accennato prima. Nel volume “Il duello. Storia e protagonisti della realtà e della fantasia” (2022) a cura di Roberto Chiavini, pubblicato sempre da Odoya, mi sono cimentato per la prima volta su un argomento al di fuori del fantastico con un capitolo sulla sfida tra Sherlock Holmes e Moriarty – il genere giallo e mistery è un’altra delle mie passioni. Infine, ho scritto la prefazione del romanzo storico/horror di Roberto Grenna “Il vampiro che sconfisse Barbarossa” (2023), edito da Algra Editore, con un resoconto della figura del vampiro in Italia.

Ti occupi solo di saggistica o hai scritto anche qualcosa riguardante la narrativa?
Sono prevalentemente un saggista, però mi è capitato di scrivere qualche racconto con risvolti fantastici. “Rito Quotidiano”, ispirato dalla mia esperienza di infermiere d’area critica durante la recente pandemia è stato pubblicato nell’antologia curata da Giovanni Mongini “I miei compagni di Viaggio” (2020) per la Edizioni Scudo. Altri due racconti attingono alla mia vita precedente vissuta in Sicilia fino all’età di 24 anni: “Riflessi sulla nebbia”, il primo che abbia mai scritto, e “La nonna delle fave”, pubblicate rispettivamente nelle raccolte “L’isola delle tenebre. Storie siciliane dell’orrore” (2020) e “Gotico siciliano” (2022) curate da Giuseppe Maresca e Luca Raimondi per Algra Editore.

So che desidereresti realizzare qualcosa su Zagor (per esteso Za- Gor-Tenay, lo Spirito con la Scure) personaggio del fumetto creato da Sergio Bonelli. Il suo attuale curatore Moreno Burattini afferma che Zagor gli ha plasmato la forma mentis di affabulatore. Cosa ha rappresentato e rappresenta ancora per te?
Ho praticamente imparato a leggere sugli albi di Zagor. Un eroe diverso, un marcantonio come Tex ma che mostra mille dubbi e lascia trasparire una più vasta gamma di emozioni, lontano dal virile machismo delle pur apprezzate avventure di Aquila della Notte. In Zagor i cattivi raramente lo sono a tutto tondo; è evidente l’intento dell’autore di far comprendere le ragioni delle loro azioni. Porsi in difesa del più debole contro i soprusi, da qualsiasi parte arrivassero, aumentava la mia ammirazione per il personaggio, insieme alla leggerezza e all’umorismo che permeavano le sue storie, lontani dalla seriosità di Tex, ai miei occhi più presuntuoso. D’altronde, Zagor nasce per un pubblico di età inferiore rispetto a quello del ranger texano; lettori come me, che negli anni sono cresciuti col personaggio, protagonista di storie sempre più adulte e drammatiche ma che non hanno mai perso quella levità che le contraddistingueva fin dagli inizi. Può sembrare esagerato, ma negli anni della mia infanzia Zagor, o per meglio dire Nolitta attraverso il suo personaggio, fu per me un vero educatore. Zagor rappresentò anche il mio primo impatto con l’horror e la fantascienza. Il mio immaginario fantastico nacque proprio sulle sue pagine, una fascinazione per l’arcano, il mistero, il meraviglioso ancor oggi ben viva in me!

Allora attendiamo il tuo prossimo saggio, magari dedicato proprio all’ invincibile eroe di Darkwood!

Filippo Radogna

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