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I decani della sf e l’IA nella visione di Giambalvo

Franco GiambalvoNei suoi oltre sessant’anni di fedeltà alla sf, Franco Giambalvo ha avuto rapporti di collaborazione e di amicizia con tanti dei fondatori della fantascienza italiana a partire da Vittorio Curtoni che, tra l’altro, gli fece tradurre Jack Vance e conoscere Robert Sheckley. Torinese, classe 1944, già programmatore di computer, lavoro per il quale ha girato il mondo, oggi coordina due webzine: “Cose da Altri Mondi” e “Nuove-Vie”. Ha pubblicato diversi racconti e l’originale romanzo dal titolo “Nuove vie per le Indie”, attualmente sta lavorando a due nuove trame di genere steampunk.

Hai attraversato oltre sessant’anni di fantascienza nei quali ti sei interessato sia di quella cinematografica sia di narrativa italiana e straniera. Qual è il periodo nel quale ti senti maggiormente coinvolto?
Già, sono passati tutti questi anni! Francamente non credo ci sia un periodo che mi piaccia di più, ma certamente esiste un momento che non sempre approvo ed è quello di molti autori soprattutto italiani dell’ultimo periodo. Non mi piace che si insista sul cosiddetto distopico, che pare essere il genere preferito da moltissimi autori italiani. Ma se devo dirti, non è una novità: anche all’inizio del mio interesse per la fantascienza in Italia chi scriveva finiva sempre con qualche doloroso epilogo e si moraleggiava di quanto l’uomo fosse cattivo e nemico di sè stesso. Non ho mai amato la fantascienza di questo tipo. Ritengo che una volta scritto “1984”, che è un capolavoro, tutto il resto sia un di più.

La distopia è una delle tendenze della sf…
A proposito di tendenze fantascientifiche in Italia, Fabio Calabrese notava, giustamente, che ci sono tantissime persone che si cimentano nella fantascienza, ma una enorme maggioranza crede di trovare trame originali sfruttando in definitiva solo due argomenti: Le Sentinelle e i Progenitori. Cioè il soldato che combatte contro gli alieni e alla fine è lui un mostro alieno (Frederick Brown), o i tanti racconti in cui si scopre che si stava parlando di Adamo ed Eva. Ma ancora di più trovo che una volta scoperto un filone (la distopia) la maggior parte degli autori italiani non sappia, o non voglia scrivere altro. Per cui sono molto triste per l’attuale tendenza della fantascienza in Italia. Per fortuna non tutti sono così.

Hai avuto rapporti di collaborazione e amicizia con tanti dei fondatori della fantascienza italiana. Ne vuoi citare qualcuno e anche cosa hai concretizzato insieme o, comunque, grazie a loro?
Vero, ma quando è capitato non me ne ero nemmeno reso conto. Per esempio, ho avuto una bellissima amicizia con Vittorio Curtoni, con cui facevo traduzioni, racconti e ci si sentiva spesso. È stato lui che mi ha permesso di conoscere e di parlare con Robert Sheckley in un fantastico pomeriggio e una serata a Piacenza. E lì erano presenti tutti gli altri miei amici della fantascienza, Giuseppe Lippi, Giuseppe Festino, Luca Masali… e non ricordo chi altri.

E cos’altro è successo?
Poi Vittorio mi ha concesso la fiducia dandomi da tradurre “Il meglio di Jack Vance” che è un autore particolarmente nelle mie corde. Era inizio estate e mi sono portato la macchina da scrivere in vacanza in Sicilia, in un campeggio in cui avevo montato la tenda sotto i limoni. È stato quasi epico: un incendio ha quasi distrutto la collina di fronte, ma io andavo avanti imperterrito tra i paesaggi Vanciani che mi assorbivano completamente e in mezzo a profumate piante di limoni.

Con gli altri maestri cos’hai realizzato?
Con Lippi e Festino abbiamo fatto quattro numeri de “La Bottega del Fantastico”, una fanzine, come si usava in quel tempo, anni Ottanta. Poi, non posso dimenticare un amico con cui ho davvero condiviso tantissima esperienza fantascientifica, Antonio Bellomi. È stato il primo che mi ha spronato dopo aver letto il mio primo racconto che Vittorio Curtoni aveva pubblicato su Robot: “Galattotour”. Antonio ha rappresentato una perdita importante per me e per la fantascienza. Mi ha insegnato quasi tutto e non è stato mai davvero capito.

Attualmente con chi collabori?
Oggi non conosco più molti operatori di fantascienza e come si evince dal mio racconto, molti ci hanno lasciato. Per fortuna c’è ancora Luigi Cozzi, editore di Profondo Rosso e regista di importanti film di fantascienza, con cui collaboro spesso per traduzioni e idee che ogni tanto ci scambiamo. Ma anche Vanni Mongini con cui sto portando avanti una moderna fanzine (webzine) che si chiama “Cose da Altri Mondi”.

Come sta andando quest’ultima esperienza come webmaster?
Ho due webzine in gestione: “Cose da Altri Mondi” e “Nuove-Vie”. La prima la faccio appunto assieme a Vanni che però mi lascia ampia libertà. La seconda parla soprattutto di letteratura di fantascienza e la gestisco da solo. Si è parlato di accorpare le due webzine in un’unica pagina iniziale nuova, da cui poi sia possibile rientrare nelle due realtà: la rivista di fantascienza a tutto tondo (cinema, collezionisti, racconti, libri, notizie…) che è “Cose da Altri Mondi”, oppure la rivista di letteratura e racconti di fantascienza che è “Nuove-Vie”. Vedremo: l’accorpamento costituirebbe un risparmio economico e noi non abbiamo pubblicità e non vendiamo nulla, per cui abbiamo guadagno zero. Abbiamo solo costi.

Immagino che sia impegnativo ma soddisfacente.
Fare questo servizio al pubblico non rende al momento proprio nulla: immagina che in questi anni e con l’impegno che ci mettiamo e il tempo e il sonno perso per inventare sempre cose nuove, non siamo nemmeno riusciti a entrare una volta in finale del Premio Italia. Ci leggono un migliaio di persone, ma per il Premio Italia ci votano zero persone. Tutto questo è molto deludente. Ma personalmente non ho mai fatto un lavoro per essere visibile e premiato. Solo perché credo che la fantascienza sia molto importante. Almeno… per me lo è.

Alcuni anni addietro scrivesti un romanzo dal titolo “Nuove vie per le Indie”, una storia originale con un linguaggio molto particolare. Aveva come protagonista il navigatore e geografo veneziano Antonio Pigafetta ‘inghiottito’ in un buco temporale nel XVI secolo. Dicci qualcosa in merito. Nuove vie per le Indie
“Nuove vie per le Indie” rappresenta un mio cruccio: non è stato capito, non è stato apprezzato e questo mi è in qualche modo dispiaciuto. L’idea mi piaceva e mi divertiva. Antonio Bellomi aveva letto i primi quattro capitoli ed era entusiasta. Purtroppo, in quel periodo l’ho fatto leggere sia a Gianfranco Viviani, che a Ugo Malaguti, ma entrambi non hanno avuto esitazioni a rifiutarlo. È stato poi pubblicato da una piccola casa editrice romana, Pragmata, gestita e animata da Monica Palozzi, a cui è piaciuto e mi ha fatto questo onore.

Hai mai pensato di scriverne la prosecuzione? Hai scritto altro o hai in mente un’altra storia per un ulteriore romanzo?
Non ho nessuna intenzione di insistere con quella storia e non voglio scrivere qualcosa che al pubblico risulti ostico. Invece avrei dei romanzi mezzi finiti, ma con tutto il lavoro di gestione siti che ho al momento non riesco a concludere e ad affrontare nulla che sia più lungo di un racconto, o di un romanzo breve.

E quali tematiche affronti in questi nuovi romanzi?
Ciò che ho nel cassetto sono due storie che mi divertono davvero molto, entrambe di genere steampunk. Il primo si intitola “Vacanze al centro della Terra” e parla di giovane inglese, di origine italiana un po’ balordo e non proprio affidabile, che, intorno al 1860, intraprende un viaggio assieme a Jules Verne. L’altro romanzo fa parte di un format che racconta le avventure di un Commissario di bordo su una nave avveniristica (anno 2100 e dintorni) in un ambiente in cui sono vietati tutti i motori a scoppio e quindi gli apparecchi volanti: le navi (a vapore) sono l’unico mezzo accettato per i grandi viaggi. Di questo personaggio ho già pubblicato un paio di racconti minori. Lui si chiama Salvinio Palagio Strozzi e il romanzo dovrebbe intitolarsi “Singapore Express”. Si tratta, come sempre nel mio caso, di storie non proprio da ridere, ma certamente ironiche. I personaggi sono dei perdenti, che però non falliscono mai. Io vorrei essere perlomeno così.

Mi piacerebbe chiudere questa nostra conversazione con una domanda di attualità anche facendo riferimento a quello che è stato il tuo lavoro come programmatore di computer, in particolare per la IBM. Ti sei sempre occupato di nuova tecnologia, che idea ti sei fatto dell’IA, ossia dell’Intelligenza Artificiale?
Non ho mai lavorato in IBM ma ho lavorato con i computer IBM in diverse aziende e con diverse mansioni, ma tutte originate dalla mia esperienza nella programmazione. Conosco qualcosa come una decina di linguaggi di programmazione, molti dei quali non più utilizzati. L’Intelligenza Artificiale nasce da esperimenti che già si facevano nel mio periodo, con i linguaggi che permettevano un’operazione quasi fantascientifica: la ricorsività. Praticamente si era risolto il dilemma di dire al computer di andare avanti in un’operazione e di interrompersi solo quando fosse passato troppo tempo senza arrivare a un vero stop: ciò che si era ottenuto, qualsiasi cosa fosse, era la soluzione. È il principio delle idee: si provano soluzioni diverse e si tentano quelle che sono venute per ultime. Non sempre questo fornisce un risultato e infatti così succede con l’Intelligenza Artificiale: a volte delude. A questo principio adesso è aggiunta la grande capacità degli elaboratori di confrontare enormi Basi dati e di aggiornarle. Succede così, per esempio, che un navigatore satellitare moderno prenda coscienza che un certo percorso alternativo scelto dall’utente, non sia necessariamente più giusto, ma è tuttavia il suo preferito. La prossima volta lo userà, avendo registrato la variante nella sua Base dati. Tutto questo non è di certo intelligenza, ma dà l’impressione di esserlo.

Ma a tuo parere l’IA potrebbe diventare pericolosa per l’uomo?
Ecco, io penso che la IA sia appunto l’impressione di parlare con qualcosa di intelligente. A volte potrebbe essere utile. Per il momento non ritengo possa essere pericoloso. A meno di fare cieco affidamento su di essa!

Argomento, quest’ultimo, sul quale c’è grande curiosità e attenzione per cui ritorneremo a parlarne sulle nostre colonne. Grazie per il tempo che ci hai dedicato!

Filippo Radogna

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